NO al pizzo, NO all’umiliazione del lavoro
Autocombustione?
Paola :: Atto intimidatorio all’Azienda De Tommaso, che produce scarpe.
PAOLA :: 12/01/2010 :: Un’intimidazione e’ stata rivolta ieri mattina all’azienda De Tommaso, che produce scarpe artigianali e le ha fatte calzare ai divi di Hollywood. Ignoti hanno posizionato davanti allo show room aziendale di Cosenza una tanica di benzina, un accendino e due proiettili.
Sull’episodio hanno fatto giungere i commenti il presidente di Confindustria Cosenza, Renato Pastore, parlando del ”clima di insicurezza e di forte tensione creato da questi accadimenti che finiscono con il turbare e mettere a dura prova il senso di fiducia dei cittadini e la voglia di fare di ciascuno”. Anche il presidente della Piccola Industria di Confindustria Calabria Fausto Aquino interviene sulla vicenda esprimendo sostegno e vicinanza all’imprenditore De Tommaso. ”L’increscioso accadimento subito dal collega De Tommaso e da tanti altri imprenditori nel tempo – dichiara – pone in primo piano le problematiche legate alla presenza sul territorio della malavita organizzata ed alle ingerenze pesanti esercitate in particolare nei confronti delle attività economiche. Occorre rinsaldare le fila della società civile per riaffermare una cultura della sicurezza e della legalità. Serve recuperare fiducia nei confronti dello Stato e delle istituzioni per aumentare il livello di garanzia e la consapevolezza di non essere da soli contro un nemico che fa sentire la sua forza attraverso la paura”. Sul caso e’ intervenuto anche il presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, che ha avuto un colloquio telefonico con Cosimo De Tommaso, invitandolo domani a fargli visita. ”Il vile atto intimidatorio subito questa mattina – afferma Oliverio in una nota – testimonia in modo inequivocabile quanto sia difficile fare impresa in Calabria senza piegare la testa ed acconsentire alle richieste e ai ricatti di una criminalità sempre più spavalda ed arrogante. Bene ha fatto De Tommaso a denunciare immediatamente l’accaduto alle forze dell’ordine. La ‘ndrangheta si combatte rompendo l’omertà’ e denunciando immediatamente qualsiasi tentativo di intimidazione”.
articolo apparso su www.calabriaora.it
Sibaritide: 22 mila tonnellate di ferriti di zinco in siti di interesse nazionale

Cosenza, 17 feb. – (Adnkronos) – Iscritti nel registro degli indagati i legali rappresentanti pro-tempore della società produttrice dei rifiuti che hanno cagionato l’inquinamento.
Tre aree ubicate nelle contrade ”Tre Ponti” e ”Chidichimo” di Cassano allo Ionio e ”Capraro” di Cerchiara di Calabria, con circa 22 mila tonnellate di ferriti di zinco, sono state sequestrate questa mattina dai militari della Guardia di Finanza di Sibari a conclusione di una specifica attivita’ investigativa coordinata, in materia di Polizia Ambientale, dalla Procura di Castrovillari. L’indagine scaturisce da un’attivita’ precedente, svolta dalla Brigata della Guardia di Finanza di Trebisacce (oggi soppressa) che in passato aveva messo a nudo un sistema ben collaudato di smaltimento illecito di svariate tonnellate di rifiuti tossici.
var metas = document.getElementsByTagName('meta'); var y; var showBox = 0; for (y = 0; y < metas.length; y++) { if (metas[y].getAttribute('name') == "news-type") { var TestVar = metas[y].getAttribute('content'); if(TestVar=="story") showBox = 1; break; } } if (showBox != 1) return;
var s = ''; var i; if (google_ads.length == 0) return; if (google_ads[0].type == "text") { s += '
'; for(i=0; i < google_ads.length; ++i) { s += '
' + //description '
' + //url '
'; } if (google_ads[0].bidtype == "CPC") { google_adnum = google_adnum + google_ads.length; } s += '
';
}
document.write(s);
return;
}
google_ad_client = 'ca-pub-5862655997843475';
google_ad_channel = '9074350992';
google_ad_output = 'js';
google_max_num_ads = '3';
google_ad_type = 'text';
google_language = 'it';
google_encoding = 'utf8';
google_skip = google_adnum;
// -->
Quell’attivita’, svolta tra il 1995 e il 1996, si e’ conclusa con il sequestro complessivo di oltre 117 mila tonnellate di ferriti di zinco provenienti da una società di Crotone, oggi sotto inchiesta per lo smaltimento illegale di rifiuti tossici. Ben 22mila tonnellate di quei prodotti, grazie anche alla connivenza di ditte locali, secondo gli investigatori, sono state interrate proprio nei 20 mila mq di queste aree inserite, peraltro, all’interno del perimetro del ”Sito di Interesse Nazionale” di ”Crotone, Cassano e Cerchiara di Calabria”.
L’attivita’, che oggi vede le Fiamme Gialle nuovamente impegnate nel sequestro dei siti gia’ precedentemente cautelati e poi dissequestrati, e’ stata disposta dalla Procura della Repubblica di Castrovillari a causa della mancata realizzazione degli interventi di bonifica in conformita’ al progetto approvato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; interventi, per i quali erano stati anche stanziati quattro milioni e mezzo di euro nell’ambito dell’Accordo Quadro di Programma in materia di tutela e risanamento del territorio della Regione Calabria.
Ulteriore necessita’, rilevano gli inquirenti, e’ quella di mettere di nuovo in sicurezza i siti, dal momento che parte delle opere realizzate dall’Ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Calabria, dai sopralluoghi effettuati dai Finanzieri di Sibari insieme al personale del Dipartimento Arpacal di Cosenza sono risultate deteriorate. Specialmente nell’area ”Chidichimo” di Cassano all’Ionio e’ stata infatti riscontrata l’inidoneita’ della copertura in ”Hdpe” utile a garantire la necessaria impermeabilita’ affinche’ pericolosi componenti di metallo, come piombo, cadmio, rame, arsenico e zinco presenti nelle ”ferriti”, possano essere veicolati nei terreni sottostanti.
In base alle risultanze investigative la Procura di Castrovillari ha proceduto anche all’iscrizione nel registro degli indagati dei legali rappresentanti pro-tempore della società produttrice dei rifiuti che hanno cagionato l’inquinamento.
http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/Calabria/Nel-cosentino-la-Gdf-sequestra-22-mila-tonnellate-di-ferriti-di-zinco-in-siti-di-interesse-nazionale_28809148.html
Due persone finite sotto inchiesta per la mancata bonifica delle ferriti
La prima indagine sui residui della "Pertusola" risale al 1997
Gianpaolo Iacobini
http://www.gazzettadelsud.it/NotiziaGiornale.aspx?art=51728&Edizione=8
‘Ndrangheta. Processo “Heracles”, 63 condanne e 30 assoluzioni
10 Marzo 2010
Il gup di Catanzaro Antonio Battaglia ha emesso oggi la sentenza del processo 'Heracles', contro le cosche del crotonese, che è stato celebrato con il rito abbreviato. Le pene più pesanti sono state inflitte a Francesco Cardamone (19 anni e 8 mesi), Pantaleone Russelli (18) e Sergio Vrenna (16).
In tutto erano imputate 93 persone, il giudice ne ha condannate 63 e assolte 30. Tra le assoluzioni ci sono quelle di Emilio Brogi e Aldo Cosentino, funzionari del Ministero dell'Ambiente che avrebbero secondo l'accusa favorito il progetto di Europaradiso, l'enorme villaggio turistico in realtà mai realizzato, e di Francesco Sulla, ex direttore generale del Comune di Crotone.
Nel corso dell'inchiesta il pm Pierpaolo Bruni ha ricostruito la geografia criminale del territorio crotonese con le contrapposte famiglie Vrenna-Bonaventura-Corigliano e Megna-Russelli, che nel 2008 hanno provocato una sanguinosa faida interna. Sono stati ricostruiti una serie di estorsioni e traffici di droga e armi con forti infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività economiche sul territorio.
si legga anche
Europaradiso e i patrimoni mafiosi
Di Girolamo patteggia: si allunga la lista dei condannati del PDL
Il denaro dell'indennizzo sarà affidato alla giustizia mediante fondi e beni immobili
Di Girolamo patteggia una pena di 5 anni
E restituirà quasi 5 milioni di euro
L'ex senatore del Pdl, coinvolto nell'inchiesta romana sul maxi-riciclaggio di 2 miliardi, ha ottenuto i domiciliari
ROMA – L'ex senatore Nicola Di Girolamo (Pdl), coinvolto a Roma nell'inchiesta su un maxiriciclaggio internazionale da due miliardi di euro, ha concordato con la procura di patteggiare una pena di cinque anni e di restituire quattro milioni e 700 mila euro, provento dell'attività di riciclaggio. Nel pomeriggio, su richiesta del pool di magistrati guidati dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, Di Girolamo ha ottenuto gli arresti domiciliari.
LE ACCUSE – L'ex parlamentare è uscito dal carcere nel pomeriggio. Si trovava in cella dal marzo scorso. Di Girolamo è accusato di associazione a delinquere, riciclaggio, violazione della legge elettorale, scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso. I soldi che verranno dati alla giustizia, attraverso fondi in Italia e all’estero e beni immobili.
http://www.corriere.it/cronache/10_settembre_17/di-girolamo-patteggia-pena-restituzione-denaro_d65bd470-c27b-11df-a515-00144f02aabe.shtml
Il nostro stupore quando fu arrestato Di Girolamo fu grande ma oggi è superato da quello per la velocità che la giustizia italiana ci mette quando l’imputato è un colletto bianco. Solo i poveri cristi in attesa di una condanna marciscono in carcere. Di Girolamo, invece, parlamentare PDL (popolo delle libertà vigilate) in 5 mesi ha risolto tutto e fra qualche anno sarà in libertà. Questo è lo Stato italiano che combatte le mafie.Entando nel merito, ricordiamo che Di Girolamo, è accusato di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, violazione della legge elettorale e scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso. Arrestato il 3 marzo scorso nel quadro degli accertamenti culminati nell'emissione di oltre 50 ordinanze di custodia cautelare ed il coinvolgimento nelle indagini dei colossi Fastweb e Telecom Sparkle, con riferimento ad una evasione fiscale di 340 milioni di euro, l'ex parlamentare e' coinvolto anche nella parte di accertamenti sull'affaire Digint, societa' partecipata da Finmeccanica, la cui acquisizione finì nel mirino di Mokbel. Per quanto riguarda invece il voto degli italiani nel mondo, basta leggere questo articolo per farsi un’idea del metodo-Di Girolamo:
Zi' Franco e la caccia ai voti
Le connessioni della 'ndrangheta in Germania per far eleggere il senatore
GUIDO RUOTOLO
ROMA
E' uno scampolo di conversazione tra un procacciatore di voti della 'ndrangheta, Roberto Macori, e un candidato al Senato in una circoscrizione di Italiani all'Estero, elezioni 2008, l’avvocato Nicola Paolo Di Girolamo. Macori racconta a Di Girolamo come sta andando la campagna elettorale in Germania: «Insieme a Giovanni Gabriele siamo entrati nel quartiere turco, l’abbiamo attraversato… non sai che cosa vuol dire… siamo entrati in una casa di disperati italiani… col cane che abbaiava, la ragazzina che cacava… e ci hanno dato una ventina di voti… in questa casa io non ho voluto mettere piede dentro, ho aspettato fuori, il sor Giovanni è entrato… perché mi faceva talmente schifo… è entrato il sor Giovanni, con la sua… diciamo verve calabrese… si è preso i voti e se ne semo andati… ti confermo, er Giovanni qui, è il capo della direzione germanica».
Il pendolare nero
Che fitta al cuore. Sembra di leggere una cronaca degli anni Sessanta. Della vita dei nostri connazionali che con la valigia di cartone sono andati nelle miniere in Belgio, nelle fabbriche in Svizzera e Germania, con i loro sogni e le loro speranze. E’ invece una pagina nera della politica e degli affari contemporanei. Li vedi quei fratelli italiani «disperati», povera gente «mischiata» ad altri emigranti povera gente (i turchi). E poi un flash. Duisburg, la strage di calabresi del Ferragosto del 2008. E le mappe delle cosche della ‘ndrangheta in Germania con tutte le pizzerie, gli alberghi, i ristoranti di proprietà (146 ne ha soltanto il «signor Franco Pugliese» di Isola di Capo Rizzuto, legato alla cosca Arena, uno dei protagonisti di questo capitolo dell’inchiesta dei carabinieri del Ros). E poi le tonnellate di polvere bianca, di cocaina che sempre i calabresi gestiscono in tutt’Europa.
La campagna elettorale sta andando alla grande, per il candidato del Pdl in una circoscrizione di Italiani all’Estero, Di Girolamo appunto. E al telefono, il candidato chiede: «Ma fisicamente stai sempre in quel di Stoccarda?», Macori risponde: «No, io non dormo a Stuttgart (Stoccarda, ndr), io dormo a Esslingen, 15 Km da Stoccarda… però ogni giorno, noi facciamo 500, 400 km con la macchina… perché qui la realtà è suddivisa, frazionata in tutti i paesini, gli italiani stanno… perché le fabbriche stanno nei paesi vicini, adesso siamo andati al nord, mo stamo a ritornà al sud, poi andiamo ad ovest, poi torniamo a est».
Votano gli emigranti calabresi. Al telefono Macori aggiorna Gennaro Mokbel, il number one dell’organizzazione criminale di riciclatori e truffatori. MACORI: «Ora, senti, che ti volevo dire, stanno scendendo da tutta la provincia di Stoccarda, stanno venendo dalla… Francoforte… abbiamo fatto un punto di raccolta qui al club dell’Inter… stanno arrivando dappertutto, dappertutto, dappertutto». MOKBEL: «Stanno scendendo dai paesi, eh?». MACORI: «Dai paesi, stanno a scende dappertutto… cioè». MOKBEL: «Ti sono arrivati i soldi?». MACORI: «Tutto fatto, tutto fatto». MOKBEL: «Te ne servono altri?». MACORI: «E se dovessero servire te lo dico domani, ma non credo, spero di no. Lo sai ‘ndo stiamo qui, a Talenti e ai Parioli, praticamente, ormai ci salutano tutti… ce girano dietro, ci controllano se stamo bene, ci vengono a misurare la temperatura… non te preoccupà».
Il boss e la barca
Che sudore, la campagna elettorale. Scrive il gip nella sua ordinanza, motivando la richiesta d’arresto per il senatore Di Girolamo: «Che le modalità di acquisizione del voto siano state illecite risulta palesemente sia dall’intervento del Gabriele che viene inviato in Germania grazie ai preventivi accordi con il Pugliese, suocero del capocosca di Isola Capo Rizzuto Fabrizio Arena, sia dai commenti dello stesso Macori che allude con soddisfazione al ruolo del Gabriele in Germania ed alle sue entrature locali: “…è il capo della direzione germanica”».
La ’ndrangheta scende pesantemente in campo per far eleggere l’uomo dell’associazione di riciclatori di professione. Gennaro Mokbel parla al telefono con il futuro senatore: «Senti na cosa, l’unica cosa che dobbiamo fare, dobbiamo intestare una barca a zii Franco (Pugliese, ndr)». DI GIROLAMO: «Va bene… ma quella che si è comprata adesso?». MOKBEL: «Quella che si è comprato… e ogni mese gliel’affitti … pagando!». Spiega il gip: «In sostanza, in cambio dell’aiuto promesso per la campagna elettorale in Germania, il gruppo di Mokbel avrebbe dovuto adoperarsi per intestare ad altra persona fisica o giuridica l’imbarcazione che Franco Pugliese stava acquistando».
Senatore consigliori
E’ un capo della banda di riciclatori, il senatore Di Girolamo. E’ vero che si fa calpestare, offendere, trattare come uno straccio dal boss number one Gennaro Mokbel, ma è pur sempre lui uno che conta nell’organizzazione. E’ un «consulente legale e finanziario dell’associazione criminale – scrive il gip – per conto della quale ha effettuato viaggi all’estero per operare su diversi conti correnti accesi presso istituti di credito internazionali unitamente ad altro associato, Marco Toseroni, regista dell’intricata rete finanziaria, al fine di porre in essere le attività di riciclaggio».
Insomma, prima che diventasse senatore Di Girolamo era un riciclatore di professione. Ma è Mokbel che imprime la svolta, che decide che il suo «portiere», «schiavo» (così lo definisce in una intercettazione) deve entrare a palazzo Madama. E quando lo spoglio dei voti conferma la sua vittoria, il boss calabrese Franco Pugliese, commenta con Mokbel: «A bello mio… io da sabato… che non dormo… ho perso la voce pe ste cazz e votazion… e voi non mi chiamate manco a dirmi fratello mio tutto apposto». MOKBEL: «No!!… Ma io non ci sto… io sto a fa un cul… tu ‘nsai che… poi te spiego… mo ha chiamato Fini… stamattina… Fini… Gianfranco Fini». PUGLIESE: «T’ha chiamato Fini??… Gianfranco Fini». MOKBEL.: «Ha chiamato Nicola… e l’ha convocato… mo nun se sa quando esce questo… Fra!!!… Pe cui… io sto come un coglione in un ufficio… pieno de persone… aa… aa Roma… .. ogni… promessa è debito!… Il primo posto dove Nicola è giù… a giorni veniamo giù… noi è!!!… Oh!!..».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201002articoli/52577girata.asp
Pdl: più inchieste per tutti
Parlamentari e membri del governo cadono uno a uno, ma Berlusconi dice: “La legalità è la mia stella polare”. Ecco la lista di indagati e condannati del partito del premier
Il giorno dopo le parole di Gianfranco Fini “nessun incarico nel partito agli indagati”, Silvio Berlusconi ha lanciato la sua controffensiva, sostenendo impunemente: “La legalità è la mia stella polare”. Ma dalla carta d’identità con cui il Pdl si presenta a Camera e Senato si direbbe il contrario. Sono almeno 35 gli indagati o condannati che siedono in Parlamento nelle file del partito del premier, una questione morale che si è allargata con le ultime vicende relative agli appalti sulle grandi opere e con l’inchiesta sulla P3, che coinvolge moltissimi big: da Verdini a Cosentino, da Dell’Ultri al sottosegretario Caliendo. Eppure i probiviri vogliono processare l’eretico Fabio Granata.
Abrignani Ignazio (deputato): è stato indagato a Milano per dissipazione post fallimentare nelle indagini sulla bancarotta Cit, agenzia di viaggi dello Stato.
Berlusconi Silvio (premier): 2 amnistie (falsa testimonianza P2, falso in bilancio Macherio); 2 assoluzioni per depenalizzazione del reato (falso in bilancio All Iberian, Sme-Ariosto); 8 archiviazioni (6 per mafia e riciclaggio, 2 per concorso in strage); 6 prescrizioni; 3 processi in corso (frode fiscale Mediaset, corruzione in atti giudiziari Mills, frode fiscale e appropriazione indebita Mediatrade), tutti sospesi in attesa che la Consulta si pronunci sulla legge sul legittimo impedimento.
Berruti Massimo (deputato): condannato a 8 mesi per favoreggiamento per aver depistato nel 1994 le indagini sulle tangenti Fininvest.
Brancher Aldo (deputato): condannato in secondo grado per falso in bilancio e finanziamento illecito, reato prescritto (il primo) e depenalizzato (il secondo). È imputato anche per la scalata Bnl, per la quale i suoi legali hanno chiesto il legittimo impedimento nel breve periodo in cui è stato ministro per il Federalismo.
Caliendo Giacomo (senatore e sottosegretario): indagato nell’inchiesta sulla nuova P3.
Camber Giulio (senatore): condannato a 8 mesi per millantato credito nell’ambito della Kreditna Banka. Era accusato di aver preso 100 milioni di lire.
Cantoni Giampiero (senatore): ha patteggiato 2 anni per corruzione e poi per concorso in bancarotta fraudolenta.
Ciarrapico Giuseppe (senatore): 5 condanne definitive fin dagli anni ‘70 per falso e truffa.
Comincioli Romano (senatore): imputato per false fatture e bilanci truccati di Publitalia, poi prescritto. Nel 2008 la giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato respinge la richiesta di usare le intercettazioni delle sue telefonate con Stefano Ricucci per la scalata al Corriere della Sera.
Cosentino Nicola (deputato ed ex sottosegretario): accusato di legami con il clan dei Casalesi, il Parlamento ha negato la richiesta d’arresto. Indagato anche nell’inchiesta sulla P3.
De Angelis Marcello (deputato): condannato a 5 anni per banda armata e associazione sovversiva come dirigente del gruppo neofascista Terza Posizione.
De Gregorio Sergio (senatore): è stato indagato a Napoli per riciclaggio e favoreggiamento della camorra e corruzione.
Dell’Utri Marcello (senatore): sette anni in appello per concorso in associazione mafiosa per le contestazioni precedenti il 1992. È indagato a Roma nell’inchiesta sulla P3. È accusato di calunnia per aver ordito un piano per screditare alcuni pentiti palermitani che l’avevano accusato nel processo per associazione mafiosa. Deve anche riaffrontare il processo per tentata estorsione ai danni dell’imprenditore siciliano Vincenzo Garaffa.
De Luca Francesco (deputato): è stato indagato per tentata corruzione in atti giudiziari: il clan camorristico dei Guida si sarebbe rivolto a lui per un processo in Cassazione.
Farina Renato (deputato): ha patteggiato 6 mesi (pena commutata in una multa di 6.480 euro) per favoreggiamento nel processo per il sequestro di Abu Omar.
Fasano Vincenzo (senatore): condannato a 2 anni per concussione nel 2007, pena indultata.
Firrarello Giuseppe (senatore): arrestato e condannato in primo grado a Catania a 2 anni e 6 mesi per turbativa d’asta per le tangenti sulla costruzione dell’ospedale Garibaldi. Poi prescritto.
Fitto Raffaele (deputato e ministro): rinviato a giudizio per sei reati, prosciolto per altri cinque. Ancora aperti 2 casi di corruzione, un illecito nei finanziamenti ai partiti, 1 peculato da 190 mila euro e 2 abusi d’ufficio.
Grillo Luigi (senatore): L’assemblea del Senato ha negato l’uso delle intercettazioni nell’ambito della Banca popolare di Lodi. Prescritto a Genova per truffa per la Tav.
Landolfi Mario (deputato): è stato indagato per corruzione e truffa. Nella stessa inchiesta 5 pentiti chiamano in causa Nicola Cosentino.
Matteoli Altero (senatore e ministro): rinviato a giudizio per favoreggiamento riguardo un abuso edilizio all’isola d’Elba. La giunta della Camera ha negato l’autorizzazione a suo carico.
Messina Alfredo (senatore): è stato indagato per favoreggiamento nella bancarotta di HDC.
Nania Domenico (senatore): condannato nel 1980 a 7 mesi per lesioni quando militava neigruppi di estrema destra. Condannato in primo grado per abusi edilizi. Poi prescritto.
Nespoli Vincenzo (senatore): accusato di bancarotta fraudolenta e riciclaggio. L’aula del Senato ha negato l’arresto.
Nessa Pasquale (senatore): accusato di concussione, il pm aveva chiesto l’autorizzazione all’arresto.
Paravia Antonio (senatore): arrestato per corruzione nel 1995, prescritto nel 2004.
Proietti Cosimi Francesco (deputato): è stato indagato a Potenza con Vittorio Emanuele per la truffa ai Monopoli. Roma ha archiviato. È stato indagato anche nella Capitale per il filone legato agli ambulatorie alla ex signora Fini Daniela Di Sotto.
Russo Paolo (deputato): archiviato per l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa quando era Presidente della Commissione parlamentare rifiuti. È stato indagato anche per violazione della legge elettorale.
Scapagnini Umberto (deputato): è stato indagato per abuso di ufficio aggravato per i parcheggi sotterranei a Catania.
Sciascia Salvatore (senatore): condannato a 2 anni e 6 mesi per aver corrotto, quando era capo dei servizi fiscali gruppo Berlusconi, alcuni ufficiali della Gdf.
Simeoni Giorgio (deputato): è stato indagato per associazione a delinquere e corruzione per le tangenti sanità nel Lazio.
Speciale Roberto (deputato): condannato in appello a 18 mesi per peculato da parte della Procura militare perché da comandante della Gdf ha utilizzato per scopi personali aerei della Fiamme Gialle.
Tomassini Antonio (senatore): medico, condannato a 3 anni per falso: durante un parto una bambina nacque cerebrolesa ma lui contraffece il partogramma.
Valentino Giuseppe (senatore): è stato indagato per favoreggiamento, si sospetta che abbia rivelato a Ricucci che era intercettato quando era sottosegretario alla giustizia. Il Senato ha negato l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni.
Verdini Denis (deputato e coordinatore): indagato per l’inchiesta sulle Grandi opere, ora anche per la P3.
http://popoloviolaparma.wordpress.com/2010/07/29/pdl-piu-inchieste-per-tutti-i-35-indagati-nelle-file-del-pdl/
Il caro PDL.. lista indagati….
LUIGI GRILLO Indagato per presunta evasione fiscale, perchè possessore di conti bancari in Liechtenstein. Indagato per truffa aggravata. Ha proposto un emendamento alla legge Gasparri sulle televisioni, che ha permesso a mediaset un maggiore ricavo.
MARCELLO DELL’UTRI Condannato in Cassazione per false fatture e frode fiscale a due anni e tre mesi di reclusione (patteggiando la pena ed usufruendo dello sconto di pena pari ad un terzo) a Torino. È stato inoltre condannato in primo grado a Milano a due anni di reclusione per tentata estorsione ai danni di Vincenzo Garraffa (imprenditore trapanese), con la complicità del boss Vincenzo Virga (trapanese anche lui). Il 15 maggio 2007 la terza corte d’appello di Milano conferma la condanna a due anni.
Infine l'11 dicembre 2004, il tribunale di Palermo ha condannato Marcello Dell’Utri a nove anni di reclusione con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il senatore è stato anche condannato a due anni di libertà vigilata, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (per un totale di 70.000 euro) alle parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo.
ROMANO COMINCIOLI Compagno di scuola e poi manager e prestanome di Silvio Berlusconi, in contatto con Gaspare Gambino (imprenditore siciliano vicino al cosiddetto “cassiere romano di Cosa nostra” Pippo Calò), per i suoi rapporti con Cosa nostra e banda della Magliana venne imputato a Roma, poi assolto. Accusato poi di bancarotta fraudolenta, è stato latitante per alcune settimane. Infine imputato nel processo per le false fatture di Publitalia.
ANTONIO TOMASSINI È stato condannato in via definitiva dalla Cassazione a 3 anni di carcerazione per falso.
SALVATORE SCIASCIA Salvatore Sciascia, direttore centrale degli affari fiscali della Fininvest, venne condannato assieme a Paolo Berlusconi ed al dirigente del gruppo Alfredo Zuccotti per aver pagato una somma complessiva pari a 330 milioni delle vecchie lire ai militari della Guardia di Finanza per indurli a favorire la Fininvest in occasione di tre verifiche fiscali. Nello specifico i controlli erano state effettuati su tre società del gruppo: la Videotime, nel 1989, la Mondadori, nel 1991, e la Mediolanum, nel 1992.
Sentenza passata in giudicato, condanna definitiva della Cassazione il 7 nonembre 2001
Sciascia, che per questa vicenda era stato arrestato il 25 luglio del 1994, aveva ammesso da subito il pagamento della provvigione e, interrogato dall’allora pm Antonio Di Pietro, aveva spiegato che ad autorizzare l’esborso era stato Paolo Berlusconi, dal quale dipendeva. salvando così momentaneamente il grande capo
ALFREDO MESSINA Vicepresidente Mediolanum (gruppo Fininvest), indagato nella bancarotta HDC, referente fininvest nelle intercettazionei telefoniche con Deborah Bergamini e Luigi Crespi. Chiamato come testimone al processo Berlusconi-Mills, si avvale della facolta’ di non rispondere, perche’ indagato di reato connesso
FRANCESCO COLUCCI Nel 1992 venne processato per voto di scambio, dopo il ritrovamento nel suo archivio informatico personale di migliaia di nomi accanto ai quali erano segnati i favori concessi (assunzioni nel settore pubblico, ricoveri d’ospedale, ecc.). Fu difeso dall’avvocato Domenico Contestabile (ora in Forza Italia) che definì la raccomandazione come non reato; nel dicembre 1994 venne condannato a 1 anno di reclusione per voto di scambio, per poi venire assolto in Cassazione.
MASSIMO MARIA BERRUTI E' stato inizialmente per un periodo capitano della Guardia di Finanza, nel nucleo speciale di polizia valutaria, incarico poi lasciato, dopo il 1985, anno in cui fu arrestato e indagato all’interno di una storia di tangenti (”scandalo Icomec”) ma che alla fine lo vide solo momentaneamente assolto, lavorando prima come commercialista, in seguito come consulente nella Fininvest di Silvio Berlusconi, dove si occupò di società estere e del Milan
Per il lavoro svolto nel gruppo finanziario nel 1994 subì un arresto, relativamente all’inchiesta sulle tangenti alla Guardia di Finanza, venne accusato di favoreggiamento, di aver tentato di depistare le indagini, cercando di non far parlare i finanzieri arrestati sul caso riguardante la Fininvest. Dal processo ne uscì con inflitta una condanna a 10 mesi in primo grado, successivamente ridotta e venendo quindi ad una condanna definitiva di 8 mesi di carcere per favoreggiamento”
GIANNI ALEMANNO indagato per finanziamenti illeciti da Callisto Tanzi (Parmalat) alla sua rivista "Area"
SILVIO BERLUSCONI sui cui processi sono stati scritti molti libri dalla mole pesante.
MASSIMO MARIA BERRUTI arrestato con l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta per lo scandalo Icomec, una storia di tangenti che scoppiò prima di Mani pulite (al processo fu assolto). Da consulente Fininvest, invece, è stato di nuovo arrestato, nel 1994, per favoreggiamento a Berlusconi nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza. Condannato in primo grado (10 mesi) e in appello (8 mesi). Sentenza definitiva, con condanna confermata dalla Cassazione. Rapporti con mafiosi.
ALDO BRANCHER Arrestato per tangenti, Condannato (in appello) a 2 anni e 8 mesi per falso in bilancio e violazione della legge sul finanaziamento ai partiti
ANTONIO BUONFIGLIO indagato per corruzione nell'inchiesta sui crediti della Federconsorzi.
GIAMPIERO CANTONI inquisito e arrestato per corruzione, bancarotta fraudolenta e altri reati. Se l'è cavata con alcuni patteggiamenti (ha patteggiato pene per circa 2 anni e risarcito 800 milioni di lire).
GIAMPIERO CATONE arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso, false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta pluriaggravata
FABRIZIO CICCHITTO l suo nome compare nelle liste della loggia massonica P2: fascicolo 945, numero di tessera 2232, data di iniziazione 12 dicembre 1980.
OMBRETTA COLLI è stata indagata per aver ricevuto dal costruttore Marcellino Gavio (azionista privato dell'autostrada Milano Serravalle, controllata dalla Provincia, e grandemente favorito dal presidente Ombretta Colli) contributi alla campagna elettorale per la sua rielezione.
MARCELLO DE ANGELIS condannato per associazione sovversiva e banda armata, è stato latitante e poi in carcere per tre anni
ANTONIO DEL PENNINO Ha patteggiato una pena di 2 mesi e 20 giorni (convertita nella sanzione di 4 milioni) nel processo per le tangenti Enimont. A ottobre 1994 altro patteggiamento: di una pena di 1 anno, 8 mesi e 20 giorni per tangenti relative alla Metropolitana milanese.
RAFFAELE FITTO richiesta d'arresto per corruzione, falso e illecito finanziamento ai partiti. Ha evitato il carcere soltanto perché parlamentare.
GIUSEPPE FIRRARELLO accusato di tangenti per l'appalto dell'ospedale Garibaldi di Catania. Non fi arrestato perché parlamentare, il senato negò l'autorizzazione a procedere. E' stato richiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, turbativa d'asta e corruzione.
ROBERTO FORMIGONI Scandalo ricette d'oro per il quale ha una responsabilità politica per non aver saputo vigilare su un settore da sempre a rischio di corruzione (medici e sanità). Indagato per irregolarità nella gestione della discarica di Cerro (Lombardia). Indagato per la gestione della società regionale Lombardia Risorse (un fallimento da 22 mila miliardi).indagato e poi rinviato a giudizio, su richiesta dei magistrati Alberto Robledo e Fabio De Pasquale, per abuso patrimoniale d'ufficio nella gestione della Fondazione Bussolera-Branca . E' citato nei rapporti americani come destinatario di contratti petroliferi assegnati a prezzi di favore dal regime di Saddam Hussein
PIETRO FRANZOSO imputato di voto di scambio in puglia
GASPARE GIUDICE la procura di Palermo chiese il suo arresto per complicità con la mafia. Il parlamento ne impedì l'arresto e l'utilizzo processuale dei tabulati Telecom, quelli da cui erano documentati i rapporti e la dipendenza di Giudice dagli uomini delle cosche.
ENRICO LA LOGGIA Indagato al Tribunale dei ministri per finanziamenti dalla Parmalat di Calisto Tanzi (100 mila euro) in cambio di presunte "consulenze".
GIORGIO LA MALFA condannato con sentenza definitiva a 6 mesi per aver percepito finanziamenti illeciti, provenienti dalla maxitangente Enimont.
UGO MARTINAT Viceministro delle Infrastrutture, è indagato a Torino per turbativa d'asta e abuso nelle gare d'appalto per le Olimpiadi di Torino e per la Tav in Valsusa
ALTERO MATTEOLI indagato a Genova per rivelazione di segreto e favoreggiamento nei confronti dell'ex prefetto di Livorno: lo avrebbe avvertito delle indagini a suo carico sugli abusi edilizi all'isola d'Elba.
SILVANO MOFFA Indagato per corruzione e abuso d'ufficio in una vicenda d'insediamenti industriali a Colleferro. Nel suo collegio è stato interdetto.
DOMENICO NANIA Condannato in primo grado per gli abusi edilizi della sua villa a Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia
MAURO PILI Ex presidente della Regione Sardegna, è indagato a Cagliari per peculato.
GIUSEPPE PISANU Coinvolto nello scandalo P2; Beppe Pisanu in persona è stato interrogato, l'ottobre 2005, dalla procura di Cagliari: a proposito di un presunto giro di favori nel corso dell'inchiesta sulla maxi-truffa Ranno-Fideuram per corruzione, peculato, truffa e riciclaggio
PAOLO ROMANI indagato per bancarotta fraudolenta e false fatture.
CARLO VIZZINI coinvolto nello scandalo Enimont con l'accusa di aver ricevuto un finanziamento illecito di 300 milioni. Condannato in primo grado, in appello strappa una prescrizione. Il suo nome nella lista di politici che la mafia voleva far fuori dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.
GIUSEPPE VALENTINO Indagato in relazione a condotte inerenti la criminalità organizzata nel settore dei finanziamenti pubblici, degli appalti, delle infiltrazioni nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione. Presente nelle indagini sulle scalate bancarie dell'estate 2005, indicato come uno dei politici che erano punto di riferimento per il banchiere Gianpiero Fiorani.
VITO BONSIGNORE condannato in via definitiva a 2 anni di carcere per tentata corruzione in appalti ospedalieri (Asti) e scoperto da poco titolare di un conto di 5,5 milioni di Euro nel paradiso fiscale del Liechtenstein
I LEGHISTI
ROBERTO CALDEROLI condannato nel 1998, in primo grado, a 8 mesi per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, per aver partecipato ai disordini davanti alla sede della Lega in via Bellerio; è indagato per scontri con la polizia a Brescia; e per attentato all'integrità dello Stato nell'inchiesta di Verona sulle ´camicie verdiª. Con l'esibizione televisiva di una maglietta su cui era riprodotta una vignetta irridente all'Islam, Calderoli ha alimentato le tensioni antioccidentali dei Paesi musulmani.
UMBERTO BOSSI precedenti penali per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, ai quali somma il vilipendio alla bandiera. Indagato per attentato all'integrità dello Stato per presunte attività eversive delle camicie verdi. Condannato con sentenza definitiva (confermata dalla Cassazione) per Tangenti
ROBERTO MARONI Condannato 4 anni e 20 giorni per resistenza a pubblico ufficiale durante la perquisizione nella sede di via Bellerio a Milano.
http://www.forzanuovapopoli.org/notizie-generali/259-il-caro-pdl-lista-indagati.html
‘Ndrangheta, confische patrimoni: duro colpo ai Foratefano di Cassano e ai Pesce di Rosarno
Retata contro la cosca Pesce, 24 in carcere Decisive le rivelazioni della nuova pentita. Una donna ricopriva il ruolo di contabile. Sequestrata un'impresa
http://www.gazzettadelsud.it/NotiziaArchivio.aspx?art=156461&Edizione=6&A=20101124
‘NDRANGHETA: CONFISCATI BENI A CLAN FORASTEFANO NEL COSENTINO
(AGI) – Cosenza, 24 nov. – I beni confiscati oggi nel Cosentino a due persone, Vincenzo Forastefano, 37 anni, e Cosimo Giuseppe Rizzo, 39 anni, ritenuti elementi di spicco del clan calabrese dei Forastefano, consistono in beni mobili ed immobili. In particolare, nella conferenza stampa che si e’ tenuta in tarda mattinata presso la Questura di Cosenza, e’ stato specificato che a Vincenzo Forastefano, fratello del capoclan Antonio, sono stati confiscati i beni gia’ sequestrati nel luglio del 2009. Si tratta del complesso aziendale della Forastefano trasporti, di un fabbricato non ancora accatastato che si trova a Cassamo Ionio, intestato alla madre, Maddalena Tunno, di sette autovetture di lusso, due motociclette di grossa cilindrata e un conto corrente bancario. A Rizzo sono stati invece confiscate due imprese individuali, un terreno edificabile a Villapiana (Cosenza), undici autoveicoli, tre moto e un libretto di risparmio. Nella conferenza stampa e’ stata espressa soddisfazione per quanto deciso dal Tribunale di Cosenza. La confisca di oggi porta a circa 100 milioni di euro il totale dei beni confiscati ai clan criminali nell’ultimo anno. (AGI) Ros/Cs1
(ANSA) – COSENZA, 24 NOV – Beni per un valore di otto milioni di euro sono stati confiscati dalla polizia a Vincenzo Forastefano e Cosimo Giuseppe Rizzo, entrambi di Cassano allo Ionio, ritenuti elementi di spicco della cosca Forastefano operante nella Sibaritide. Vincenzo Forastefano e' il fratello di Antonio, ritenuto il capo della cosca, mentre Rizzo e' cognato del boss. La confisca e' stata eseguita da personale dell'Ufficio misure di prevenzione della Questura di Cosenza su disposizione del Tribunale.
CASSANO: BENI PER OTTO MILIONI DI EURO CONFISCATI ALLA COSCA FORASTEFANO
Cassano - Beni per un valore di circa otto milioni di euro sono stati confiscati, stamane, dagli agenti di Polizia della Questura di Cosenza, a Vincenzo Forastefano ed a Cosimo Giuseppe Rizzo, entrambi di Cassano e ritenuti elementi di spicco della cosca 'ndranghetista facente capo alla stessa famiglia Forastefano ed operante nell'intera Sibaritide.Vincenzo Forastefano è il fratello di Antonio, ritenuto il capocosca, mentre Rizzo è il cognato del boss. La confisca dei beni è stata eseguita daglui agenti dell'Ufficio misure di prevenzione della Questura cosentina su disposizione del Tribunale. I beni confiscati oggi erano già stati sequestrati nel luglio del 2009. Si tratta del complesso aziendale della Forastefano trasporti, d'un fabbricato non ancora accatastato che si trova a Cassano intestato alla madre Maddalena Tunno, di sette autovetture di lusso, due motociclette di grossa cilindrata e un conto corrente bancario. A Rizzo sono stati invece confiscate due imprese individuali, un terreno edificabile a Villapiana, undici autoveicoli, tre moto ed un libretto di risparmio.
http://www.sibarinet.it/index.php?option=com_content&view=article&id=831:cassano-beni-per-otto-milioni-di-euro-confiscati-alla-cosca-forastefano&catid=36:cassano-allo-jonio-&Itemid=76
'Ndrangheta, nuovo maxisequestro
Sigilli a impresa edile con sede all'Aquila
La mobile effettua un sequestro da 50 milioni di euro disposto dalla Procura di Reggio Calabria ai danni delle cosche Borghetto, Zindato e Caridi. Si tratta per lo più di ditte di costruzioni. Una operava nel capoluogo abruzzese: non si esclude che sia stata creata per sfruttare la ricostruzione
REGGIO CALABRIA – C'è anche un'impresa edile con sede all'Aquila tra i beni sequestrati dalla squadra mobile alla 'ndrangheta per complessivi 50 milioni di euro, provvedimento disposto dal gip su richiesta del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, e del sostituto Marco Colamonici. Complessivamente il sequestro riguarda 12 imprese e società operanti, per lo più, nell'edilizia.
I sigilli sono stati posti su attività collegate alle cosche Borghetto, Zindato e Caridi. Tra queste spicca, appunto, la Tesi costruzioni, con sede nel capoluogo abruzzese e riconducibile a Santo Giovanni Caridi. Al momento, secondo quanto riferito dagli investigatori, non sono stati acquisiti elementi che facciano ritenere che l'impresa sia stata costituita per sfruttare i lavori del post terremoto, anche se l'ipotesi non viene esclusa. Da segnalare anche una società a Roma proprietaria di un panificio, una a Reggio Calabria titolare di un palaghiaccio mobile, il circolo ricreativo Las Vegas sempre a Reggio, tre appartamenti e tre automobili.
Attraverso le imprese, le cosche si infiltravano nel settore delle costruzioni e si sarebbero aggiudicate appalti pubblici. Alcuni dei beni sequestrati, inoltre, intestati a prestanome, erano frutto del reimpiego dei proventi delle attività illecite delle cosche.
Il sequestro di beni è il seguito dell'operazione che il 29 ottobre scorso aveva portato all'arresto di 33 presunti affiliati alle tre cosche, considerate dagli inquirenti "satelliti"
del gruppo storico dei Libri e protagoniste di una serie di estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori.
(24 novembre 2010)
www.repubblica.it
(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 24 NOV – Beni per un valore di 50 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Squadra mobile di Reggio Calabria ad affiliati alle cosche Borghetto, Zindato e Caridi della 'ndrangheta.Il sequestro e' stato disposto dal gip.
Tra i beni sequestrati anche un'impresa, la Tesi costruzioni, che ha sede a L'Aquila. Al momento non sono stati acquisiti elementi che facciano ritenere che l'impresa sia stata costituita per i lavori del post terremoto, anche se l'ipotesi non viene esclusa.
(ANSA) – CROTONE, 17 NOV – La polizia ha confiscato a Crotone beni per un milione e mezzo di euro appartenenti ad un presunto affiliato alla 'ndrangheta, Roberto Bartolotta, di 46 anni, esponente della cosca dei 'Papaniciari'.
I beni confiscati consistono in un distributore di benzina, cinque immobili tra case e negozi e un terreno agricolo. Bartolotta e' accusato di avere gestito un giro di estorsioni in favore della sua cosca di appartenenza. Gli immobili oggetto del provvedimento di confisca erano stati sequestrati nello scorso mese di marzo. (ANSA).
(ANSA) – SIDERNO (REGGIO CALABRIA), 18 NOV – Beni per un valore di oltre 200 milioni di euro sono stati sequestrati dalla polizia alla cosca Commisso di Siderno, tra le piu' attive della 'ndrangheta. I beni consistono in appartamenti, terreni, attivita' commerciali e denaro in contante: in pratica il 'tesoro' della cosca accumulato in decenni di attivita' illecite. Il sequestro rappresenta un seguito dell'operazione Crimine, sulle attivita' della 'ndrangheta in Lombardia, che a luglio porto' all'arresto di 300 persone.
Epidemia di tumori nel Meridione. Appendice B: Cassano e Rossano
Parte la bonifica a Tre ponti, Cassano si libera dai ferriti
martedì 14 dicembre 2010
Cassano allo ionio Lunedì 13 dicembre è stato un giorno storico per i comuni di Cassano allo Ionio e Cerchiara di Calabria. E’ ufficialmente iniziata la fase operativa della bonifica dei siti inquinati dalle ferriti di zinco prodotte dall’ex Pertusola Sud e smaltite in provincia di Cosenza. I mezzi meccanici delle società incaricata da Syndial (la controllata di Eni titolare, come a Crotone, dell’onere di bonifica) sono entrate in azione nel sito di Tre Ponti alle undici e mezzo del mattino.
I primi camion di proprietà di Ecosistem e del Consorzio trasportatori crotonesi, costituiti in associazione temporanea d’impresa, sono stati riempiti del materiale destinato alla discarica Sovreco di Columbra, sotto gli occhi, fra gli altri, del procuratore della Repubblica di Castrovillari Franco Giacomantonio, della Guardia di finanzia di Sibari, dell’amministratore delegato di Syndial Sergio Polito.
Mentre le operazioni andavano avanti, il procuratore Giacomantonio e l’amministratore delegato di Syndial si sono intrattenuti a lungo visitando il cantiere e discutendo del programma dei lavori che prevede che la bonifica integrale dei siti – iniziata ad aprile con le attività preliminari, le caratterizzazioni, la predisposizione del cantiere e l’effettuazione delle gare per la rimozione, il trasposto e il conferimento allo smaltimento dei rifiuti – entrata ora nel vivo, termini entro il mese di giugno del 2011.
Presentato a dicembre 2008, insieme agli elaborati relativi all’area industriale di Crotone, il progetto operativo di bonifica dei siti della sibaritide è stato approvato a cavallo tra il 2009 ed il 2010. Ai lavori si è arrivati con la stessa procedura utilizzata per la bonifica della falda che scorre sotto i vecchi stabilimenti chimici e metallurgici di Crotone: un’autorizzazione ministeriale provvisoria in attesa della firma del provvedimento definitivo. L’autorizzazione, chiesta il 26 febbraio scorso, è stata rilasciata nel giro di qualche mese, posto che a maggio le parti si sono ritrovate intorno ad un tavolo al ministero dell’Ambiente per stabilire gli ultimi dettagli prima dell’avvio delle ruspe.
L’intervento prevede l’asportazione di circa 25 mila metri cubi di ferriti di zinco, le scorie tossiche provenienti dall’arrostimento della blenda per la produzione dello zinco. Secondo le stime riportate nel progetto definitivo di bonifica, la quantità di ferriti da rimuovere in località Tre Ponti ammonta a 15.000 metri cubi, ai quali si aggiungono i 4.000 di contrada Chidichimo, sempre nel territorio di Cassano allo Ionio. Le attività di disinquinamento e ripristino ambientale si estenderanno a Cerchiara di Calabria, in contrada Capraro, dove si trovano sepolto ulteriori 2.100 metri cubi di scorie.
(n.ser.)
http://www.ilcrotonese.it/notizia.asp?IDNotizia=18581&IDCategoria=1
Chi si ricorda delle ferriti di zinco a Cassano allo Jonio (cosenza)
in Calabria si muore di lupara e di tumori
Utente: grilloparlante
28 / 3 / 2010
Oramai chi se ne ricorda più di queste ferriti di zinco. Facevano parte della Pertusola di Crotone. Era uno stock di rifiuti tossici speciali che dovevano essere smaltiti in Sardegna. Lì esiste un impianto che fa proprio questo tipo di stoccaggi avevano detto. Ma in quella regione queste ferriti non arrivarono mai. Si fermarono a Sibari. Se cristo si fermò ad Eboli le ferriti si fermarono a Sibari. E lì sono rimaste sin dal 1999 quando lì vennero seppellite da mani inesperte se è vero che un camionista trasportatore di questi rifiuti ed un ruspista sembra siano morti di tumore negli anni a venire quella data. L’operazione fruttò diverse mazzette a funzionari regionali e l’assessore all’ambiente dell’epoca, giunta Nisticò, finì arrestato. L’assessore era il dott. Sergio Stancato. Poi divenuto consigliere regionale ed ancora in attività politica dopo aver cambiato casacca almeno una decina di volta passando disinvoltamente da destra a sinistra e ora di nuovo a destra con Scopelliti. I suoi manifesti sono stati affissi anche a Cassano ed un cittadino , Pasquale Cersosimo ( di cui pubblichiamo le sue foto sulle ferriti dissotterrate in questi giorni a Cassano ) indignato da questa sfrontatezza ha scritto una lettera aperta indirizzata proprio al prescritto onorevole Stancato.
On. Sergio Stancato
Consiglio regionale – Calabria
Oggetto: Lettera aperta
Caro Stancato,
sono un cittadino del Comune di Cassano allo Ionio, uno di quei Comuni dell’Alto Ionio interessati da un sotterramento abusivo di ferriti di zinco sul quale sia la Procura di Castrovillari che quella di Paola hanno da anni avviato un inchiesta giudiziaria in cui proprio lei risulta indagato in qualità di ex assessore regionale all’ambiente.
Non entrando nel merito della vicenda, posso solo affermarle, che quelle numerose tonnellate di ferriti di zinco negli anni hanno causato, almeno nel mio Comune, un notevole aumento di neoplasie, tumori ed allergie.
In una sola parola, le ferriti di zinco hanno causato la morte di decine di cittadini.
Con immenso stupore questa mattina ho visto numerosi suoi manifesti attaccati sui muri della mia Città.
E’ indubbio, la democrazia da il diritto a chiunque di manifestare il proprio pensiero, tuttavia penso che la scelta di farsi propaganda a Cassano, proprio in questo momento in cui c’è un processo in corso, sia stata una scelta di cattivo gusto oltre che un offesa alla dignità della mia gente.
Mi auguro che si ravveda e che, prima di farsi mera propaganda, voglia venire a spiegare ai Cassanesi, specie quelli che per via delle ferriti hanno avuto lutti in famiglia, la sua versione dei fatti sull’argomento.
Saluti
Pasquale Cersosimo
Cassano allo Ionio, 10/03/2010
Purtroppo questa importante operazione dei carabinieri e guardia di finanza non ha avuto un epilogo processuale. Il processo venne diviso in due tronconi. Uno di carattere amministrativo riguardava l’onorevole Stancato ed è ancora in corso a Paola, l’altro riguardante i reati di natura ambientale finì a Castrovillari. Da qualche mese quel processo frutto dell’operazione “Artemide”, si è concluso senza colpevoli. Il Tribunale di Castrovillari (Annamaria Grimaldi presidente, Carmen
Ciarcia e Francesco Bruno giudici a latere), dopo più di tre ore di camera di consiglio, ha assolto Giuseppe Caporale, Paolo Francese, Massimo Monti, Dario Ordine “perché il fatto non sussiste”. Lo stesso Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Alessio Bargagliotti, Luigi Rinaldo Brusco, Alessandro Ciancio, Eugenio Cicero, Michele Guerrera, Fulvio Luini, Massimo Notari e Pompeo Orsomarso “per il reato di cui all'articolo 434, comma I del codice penale (disastro ambientale ndc) perché estinto per intervenuta prescrizione. Il collegio giudicante ha anche disposto la restituzione, agli aventi diritto, delle aree e della azienda Geo Sibari sottoposte a sequestro giudiziale. L'udienza di ieri è stata completamente dedicata alla “discussione”.
Ciò che resta di questa enorme operazione pulizia, nel senso giudiziario del termine e della prescrizione a delinquenti e politici, sono le ferriti di zinco. Si era detto che sarebbero ritornate a Crotone, nella stessa Pertusola dalla quale erano partite nel 1999 . La Syndial la ditta che deve bonificare tutta Crotone voleva sistemare le ferriti nella discarica di Giammiglione ed invece andranno in tutt’altra direzione. Si dice in Toscana in provincia di Livorno. Attualmente le ferriti cominciano ad essere dissotterrate ma come dimostrano le foto scattate da Pasquale Cersosimo vengono messe alla rinfusa all’aria aperta. I lavori di rimozione invece sono nella mani di una ditta composta da una associazione temporanea di imprese formata dalla Eco.Ge srl di Genova e dalla Geomar srl di Trento, unica concorrente in gara, con un ribasso del 12,903 per cento su un importo a base d’asta di 3.952.500 euro. La gara, bandita il 22 ottobre 2008, si è chiusa il 19 dicembre del 2009; dieci giorni dopo il Comune ha consegnato i lavori all’Ati che si è impegnata a portare a termine l’intervento in 390 giorni: 210 per la bonifica e 180 per il monitoraggio. Costo complessivo: 3.452.508 euro e 75 centesimi. I lavori consistono nella rimozione e nello smaltimento delle ferriti di zinco dai siti inquinati di ‘Chidichimo’ e ‘Tre Ponti’ (Cassano) e ‘Capraro’ (Cerchiara di Calabria). Complessivamente 33.000 tonnellate di veleni per un totale di 21.100 metri cubi, così suddivisi: 4.000 località ‘Chidichimo’, 15.000 località ‘Tre Ponti’, 2.100 località ‘Capraro’. La cosa sconcertante riguarda la presenza nella ECO.Ge dei fratelli Mamone. Una famiglia molto discussa nella piana di Gioia Tauro e che un rapporto della DIA sin dal 2002 aveva indicato come famiglia ‘ndranghetista. Questa stessa ditta gestisce i rifiuti nucleari provenienti dalla centrale nucleare di Caorso.
http://www.globalproject.info/it/community/Chi-si-ricorda-delle-ferriti-di-zinco-a-Cassano-allo-Jonio-cosenza/4395
Inchiesta sui rifiuti in Calabria
A cura di Francesco Cirillo
Quando si parla della Calabria e dei calabresi, se ne parla spesso, come di un popolo poco propenso alla lotta, omertoso e pauroso. La storia invece insegna che questo non è mai avvenuto e che i calabresi sono stati, cosi come gran parte dei cittadini italiani, coraggiosi e grandi oppositori di ogni specie di potere. La storia recente poi dimostra, come in tutta la regione esistano e si siano verifìcati tanti episodi di lotta, da Santa Domenica Talao a Bisignano in provincia di Cosenza a Condofuri in provincia di Reggio Calabria. Ed appunto la storia dei rifiuti in Calabria è una storia che vale la pena di raccontare e far conoscere.
Cominciamo dai contadini di Costapisola e Sant’Angelo, due piccole frazioni di Santa Domenica Talao (cs), che hanno avuto la determinazione, il coraggio, la costanza di combattere contro i poteri e gli interessi, annidati all'interno della Regione Calabria, e in altri organismi preposti; a sfidare le forze dell'ordine spesso intervenute per smuovere i blocchi stradali ed ora ancora alle prese con un infinità di cause nella Pretura di Scalea.
Seguiamo le vicende passo dopo passo.
Furono gli ambientalisti di Diamante il 15 febbraio del 1989, che dopo aver ricevuto una telefonata anonima si recarono nottetempo in contrada Sant'Angelo tra Santa Domenica Talao e Scalea per verificare se fosse vero che da qualche notte si verificava un traffico sospetto di Tir attorno ad una cava abbandonata d'argilla. La presunta appartenenza del proprietario della fornace a cosche mafìose del Tirreno, consigliava l'anonimato e la circospezione da parte dei contadini vicini ad essa. Ma accorsi sul posto, la mattina successiva, gli ambientalisti trovarono già i carabinieri di Scalea.
Durante la notte per puro caso una normale pattuglia stradale aveva fermato un Tir nel comune di Scalea e nel controllo espletato spuntarono fuori i primi scatoloni sospetti. L'autista del Tir, sostenne di essere all'oscuro di tutto, e condusse i carabinieri sul luogo dove avrebbe dovuto scaricare. Da quel momento scattò l'allarme nazionale. La giunta regionale (una giunta di sinistra) fu subito tirata in ballo per le autorizzazioni concesse alla ditta calabrese, e l'assessore Di Nitto ( PSDI) fu il primo ad essere messo in mezzo. Scriveva così un giornalista su Repubblica del 18/2/89: " La Ecomarche con sede a Candia in provincia di Ancona, un azienda che appalta lo smaltimento dei rifiuti di sedici Asl sulle ventuno delle Marche, si affida ad un impresa di autotrasporti di Arcevia, la quale a sua volta si rivolge alla Noledile di Pontecagnano in provincia di Salerno che è in possesso di un autorizzazione della Regione calabria, della durata di cinque anni, per il trasporto lo smaltimento, lo stoccaggio di rifiuti speciali industriali e ospedalieri comprese parti anatomiche e quelli che presentano gravi pericoli. La NOLEDILE , non si sulla base di quali credenziali, il 29 luglio del 88 (sette giorni dopo l’autorizzazione della Regione Marche alla Ecomarche) ha ottenuto dalla regione Calabria, insomma di poter far arrivare nel suo deposito di Rossano Scalo tutto il materiale che vuole da fuori regione."
E’ questo il sunto della situazione, ed il 22 febbraio la procura della Repubblica di Paola spicca otto ordini di arresto, tra i quali il responsabile dei servizi amministrativi dell’assessorato ai lavori pubblici ed ambiente. L’assessore Di Nitto e la giunta si salvano. Il responsabile insomma, alla fine, è stato solo un dirigente poco affidabile.
I politici non c’entrano nulla così anche i mafiosi. Ma la popolazione intanto è scesa in piazza e comincia a chiedere pubblicamente di far togliere dalla loro zona i quindicimila scatoloni già depositati nella fornace. La puzza del materiale in decomposizione (ci sono all’interno degli scatoli resti umani provenienti da operazioni ospedaliere ), intanto si spande ovunque e la preoccupazione si fa sempre più grande fra gli abitanti della zona e della contrada vicina. Gli ambientalisti del Tirreno organizzano così una manifestazione che partendo da Scalea si dirige a piedi verso la fornace. Oltre mille persone , preceduti da un impressionante cordone di carabinieri e polizia, percorrono i quindici chilometri che li separano dalla fornace, richiamando così l’attenzione sulla pericolosità della situazione, che sembra presa sottogamba dai poteri politici ed amministrativi della regione Calabria, preoccupati più dello scandalo in cui si trovano coinvolti piuttosto che sulle soluzioni da prendere. Ci vorrà una settimana di presidio e blocco stradale di centinaia di cittadini, rimasti sotto la fornace sin dopo la grande manifestazione, per far si che si decidesse la smobilitazione della fornace. Finalmente i Tir ripartono dalla fornace di Sant’ Angelo riportando i rifiuti pericolosi in appositi centri di stoccaggio del centro Italia dove verranno bruciati. La popolazione ai bordi della strada accompagna con un lungo applauso la partenza . La fornace qualche settimana dopo sarà completamente bonificata e sigillata.
Mentre gli arrestati usciranno tuttipiù o meno assolti, ed i politici della giunta riciclati in altri partiti o negli stessi di provenienza.
DI NUOVO RIFIUTI A SANTA DOMENICA TALAO .
COSTAPISOLA: LA FIGLIA DELLA DISCARICA DI SANT’ANGELO
Ma ironia della sorte o chissà per quale gioco nascosto, a distanza di cinque anni, rifiuti speciali si riversano di nuovo nel territorio di Santa Domenica Talao, questa volta però in un altro sito. Nella contrada Costapisola, su una spianata importante dal punto di vista geologico, dove sono stati ritrovati fossili di milioni di anni fa. La ditta Tre B service intende aprirci, ottenuti i permessi dal comune e dalla regione, un impianto di bioconversione per riutilizzo a scopi agricoli. Apparentemente sembra un lavoro quasi ecologico e cascano nel concedere concessioni prima il sindaco del comune Giuseppe Antonio La Greca, dirigente provinciale di Alleanza Nazionale e poi la Regione Calabria retta dal Dc Veraldi attualmente deputato del PPI. Ma le cose non stanno effettivamente cosi e i contadini vicini alla discarica ne hanno modo di accorgersene subito al primo scarico dei Tir. Si tratta di materiale proveniente da scarti di macellazione, portati in Calabria da altre regioni d'Italia.
La notte nessuno riesce a dormire in tutta la contrada per la puzza terribile che si sprigiona per tutta la zona. La mattina un corteo di agricoltori, contadini, abitanti di Costapisola, ambientalisti accorsi da tutto il Tirreno, si recano al Comune e immediatamente lo occupa chiedendo al sindaco il ritiro della delibera incautamente concessa. Giungono sul sito della discarica chiamati dal sindaco, (che intanto ha fatto marcia indietro sulla sua concessione) e dal prefetto di Cosenza, l'AsI di Praia a Mare, i vigili del comune, i carabinieri del Nas.
Iniziano i primi rapporti contrastanti sulla discarica. L'AsI di Praia in un primo rapporto redatto a seguito di un ispezione, non avverte nessuna puzza nè intravede pericolosità per la salute dei cittadini , anzi il luogo viene descritto dagli ispettori come se si trattasse di un campo di papaveri in fiore; i carabinieri invece cominciano a sospettare sull'arrivo dei Tir e sui rifiuti scaricati. I cittadini nel comune non mollano e il sindaco riunisce il consiglio comunale d'urgenza e ritira all'unanimità la delibera, riconoscendo l’errore fatto e altresì chiedendo alla Regione di fare altrettanto con la propria delibera di concessione regionale.
Nel contempo si intima tramite un ordinanza alla ditta Tre B service di sospendere tutti i lavori in corso. Gli ambientalisti cantano la prima vittoria.
Ci vuole il novembre del 94 perché il pretore Maria Luisa De Rosa intervenisse su richiesta del procuratore della Repubblica di Paola, Pezone e sequestrasse tutta l'area. La ditta però non demorde e fa ricorso al tribunale del Riesame di Cosenza, che il 15 novembre annulla il sequestro facendo così riaprire la discarica. I Tir cosi ricominciano ad inondare di rifiuti il luogo. Ne arrivano a decine ogni giorno, scaricando migliaia di tonnellate di materiale di ogni genere che impuzzolentiscono la zona e cominciano a creare danni all'agricoltura circostante con l’espandersi di mosche e insetti vari che attaccano la frutta e gli ortaggi.
Il danno all’agricoltura è enorme. Nella zona si è sparsa la voce sulla pericolosità della discarica e i consumatori non acquistano più frutta dai contadini di Santa Domenica nei mercati di Scalea e del Tirreno. La rabbia cresce giorno dopo giorno, mentre cresce sempre di più l’arrivo di Tir da tutta Italia. Iniziano i blocchi stradali spontanei fatti dai contadini con il solo appoggio degli ambientalisti. Tutti i politici sono scomparsi così i funzionari ed amministratori regionali. Ma il 16 febbraio 96 scoppia la protesta.
Viene dichiarato lo sciopero generale con manifestazione in Santa Domenica Talao; circa
mille persone arrivate da tutta la costa manifestano nel paese con striscioni e cartelli con un unico ordine del giorno "Chiudere la discarica". Il comune viene rioccupato così come tutte le strade d’accesso al paese. Si chiede l’intervento della Prefettura per motivi di ordine pubblico.
NEL FRATTEMPO ALTROVE SUCCEDE DI PEGGIO
Negli stessi giorni convulsi di lotta contro discarica di Santa Domenica Talao, rimbalza per tutta Italia la denuncia di Nuccio Barillà, segretario della Legambiente di Reggio Calabria ed ora assessore all’ambiente del comune di Reggio Calabria.
"La Calabria -dichiara Barillà – è al centro degli interessi di una holding internazionale in cui si sono saldati interessi potentissimi. Si parla di traffico di rifiuti tossici e radioattivi: si calcola che ogni viaggio di un Tir porti nelle casse della mafia 200 milioni".
Fa seguito alla denuncia della Legambiente un inchiesta preoccupante aperta dalla procura della Repubblica di Reggio Calabria.
L'inchiesta è stata aperta in seguito ad un informativa dei carabinieri sulla storia di una misteriosa nave albanese, la Korabi, partita da un porto della Germania con un carico di scorie nucleari e radioattive a approdata il 25 febbraio 1994 nel porto di Palermo. Qui però non sarebbe stato autorizzato lo scarico e la nave avrebbe lasciato il porto in direzione di Crotone. Ma il mercantile viene respinto anche dallo scalo calabrese. Ai primi di marzo la Korabi viene intercettata e fermata davanti al promontorio reggino di Pentimele e le autorità portuali si accorgono che la nave ha le stive vuote .
Nessuno è riuscito a spiegare che fine abbia fatto il suo carico contaminante.
L'ipotesi più verosimile è che nell'Aspromonte esista una discarica di rifiuti tossici controllata dalla ‘ndrangheta. Un rapporto della Castalia segnalava che in Calabria per ogni impianto autorizzato ve ne sono dieci abusivi.
E NON FINISCE QUI….
Le agenzie di stampa del 7 maggio 98 in tutta Italia, quasi impazziscono.
Un assessore all'ambiente della Regione Calabria è arrestato insieme ad altre ventidue persone per reati legati all'ambiente ed alla richiesta di tangenti.
Si tratta di Sergio Stancato (oggi dirigente del Nuovo PSI di Gianni De Michelis), di nuovo in pista dopo la scarcerazione nella "nuova" giunta del ribaltone calabrese di centrosinistra. Il fatto che più fa preoccupare gli ambientalisti ed i cittadini calabresi è la ferrite di zinco, scarti di lavorazione della Pertusola di Crotone che invece di essere trasportata in speciali impianti di stoccaggio, veniva seppellita in terreni agricoli di Cassano Ionio ed altre zone della regione. Si tratta di oltre 35 mila tonnellate di rifiuti tossici. La procura della Repubblica di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati, oggi a piede libero.
LA LOTTA A SANTA DOMENICA SI RAFFORZA
Queste notizie spaventano ed allarmano sempre di più le popolazioni del Tirreno cosentino ed il 18 febbraio tutti i sindaci dell'Alto Tirreno cosentino firmano un ordine del giorno comune nel quale chiedono la chiusura definitiva della discarica. Sabato 4 marzo 95 Scalea per la prima volta vede arrivare migliaia di persone per difendere l'ambiente. Il lungo corteo partito dalla piazza del paese si dirige subito sulla strada provinciale e la blocca. Le autorità regionali cominciano a preoccuparsi per gli effetti negativi che la storia potrebbe avere per le prossime elezioni politiche e regionali.
Ed il 15 marzo arriva in Consiglio regionale il primo effetto delle mobilitazioni. Quindici consiglieri regionali firmano una mozione nella quale si chiede al presidente della Regione la revoca della concessione. La ditta, intanto, nello stesso giorno di presentazione della mozione, decide di querelare il sindaco di Santa Domenica, La Greca, per il ritiro della concessione urbanistica. Lo scontro si sposta dalle piazze alle aule dei tribunali. Ed il 28 marzo arriva una doccia fredda per gli ambientalisti ed il Comitato di lotta. La giunta regionale che avrebbe dovuto discutere la mozione dei 15 consiglieri rinvia a data da destinarsi, e senza una motivazione, la discussione. Ma il giorno dopo, due pullman partiti da Santa Domenica Talao e Scalea si recano a Catanzaro proprio mentre vi è in corso una nuova giunta regionale.
Una delegazione di ambientalisti guidata dal sindaco riesce a farsi ricevere dal presidente della Regione Veraldi che sospende la giunta. Al termine della discussione la decisione da parte del presidente è presa: la delibera verrà sospesa e la discarica chiusa.Ma questa, nonostante i divieti continua ancora ad essere ancora aperta ed a ricevere Tir di rifiuti da ogni parte d’Italia.La popolazione è esasperata e continua incessantemente a organizzare giorno e notte blocchi stradale nei pressi della discarica.Gli ambientalisti lanciano un monito alla Regione: se la discarica non sarà veramente chiusa si boicotteranno in tutto il Tirreno le elezioni regionali.
Ed il 6 maggio un'intimidazione viene fatta contro la sede dei verdi a Diamante dove la bacheca di informazioni sulla lotta viene bruciata.
Grave anche l’atteggiamento del PDS che in combutta con alcuni dirigenti verdi calabresi riesce a boicottare la formazione della lista verde e l’inserimento in questa di rappresentanti della lotta contro la discarica.
Il 23 aprile 1996 viene eletta la nuova giunta regionale.Vince la destra, il presidente è Giuseppe Nisticò.Il Comitato di lotta di Santa Domenica rilancia subito la battaglia confidando nella "novità" della nuova giunta. Ma il 20 giugno nuovo colpo di scena, il tribunale del Riesame di Cosenza, accogliendo l'istanza proposta dall'avv. Sammarco, legale della Tré B service che gestisce l'impianto, annulla il provvedimento cautelare del sequestro preventivo, restituendo l'impianto alla ditta stessa. Si ricomincia da capo. I Tir riprendono i loro viaggi verso Santa Domenica Talao e Costapisola.E l’otto luglio 1996 i cittadini decidono l’occupazione della discarica. Circa duecento contadini e ambientalisti dei vari comitati di lotta zonali si recano alle prime luci dell’alba davanti ai cancelli della discarica e vi piantano le tende. Comincia un lungo sit- in che provoca diversi scontri verbali e materiali con gli operai della ditta stessa, i proprietari, i carabinieri. Ma l’unità della popolazione è più forte di qualsiasi minaccia e riesce a restare compatta e decisa davanti ai cancelli.
Durante i vari blocchi un TIR proveniente da La Spezia viene intercettato dai contadini e bloccato prima che entrasse nella discarica. I carabinieri intervengono per liberare il blocco ma alla richiesta insistente di controllare il carico si accorgono della presenza di 350 quintali di rifiuti speciali non trattabili nella discarica stessa e lo sequestrano. Riesplode la protesta in tutta la zona appena si sparge la notizia. Per tutta l’estate continuano così i blocchi ed i sit in volanti. A settembre la notizia finale: la Regione Calabria ha definitivamente revocato la delibera famosa di concessione. Ora la discarica sarà definitivamente chiusa. Un paese intero scende in piazza in festa.
MA ORA COMINCIANO I PROCESSI
Il processo intentato dal Comune di Santa Domenica contro la Tre B service, inizia il 5 giugno del 1997. L'aula del tribunale è piena di contadini, cittadini, ambientalisti. L'avvocato Conte, a nome del Comitato di lotta, chiede di costituirsi parte civile contro la ditta proprietaria del la discarica. Il processo viene rinviato al 14 novembre 97. Ma ecco il colpo di scena: il pretore Molino accetta la parte civile presentata dall'aw. Conte a nome dei 22 contadini confinanti con la discarica. E' una sentenza importante che rimbalza in tutta Italia, essendo la prima volta che un comitato cittadino spontaneo , non riconosciuto come associazione ambientalista nazionale, viene ammesso come parte civile. Ma subito dopo il processo viene rinviato. Occorreranno altre sei o sette udienze, un cambio di pretore, due pubblici ministeri, e la sfilata di numerosi testimonianze, per giungere all'assoluzione della ditta Tre B service.
Un colpo durissimo ed un passo indietro per tutte le battaglie ambientaliste che viene riequilibrato dalla Cassazione di Roma che boccia l'assoluzione fatta in appello alla ditta.
A Dicembre del 98 inizia nella Pretura di Scalea la prima udienza per il blocco stradale operato dal comitato di lotta di Costapisola il 15 febbraio del 95. I 20 cittadini e gli ambientalisti sono difesi dagli avvocati Marragony e Conte. Durante il dibattimento numerose le testimonianze di chi ha partecipato ai blocchi e dei vari responsabili al controllo della discarica. E’ la prima volta che un folto gruppo di cittadini viene processato per aver difeso l'ambiente e la propria salute. Il processo viene rinviato al 5 novembre 99.
Resta una grande amarezza, gli inquinatori usciranno assolti da tutta la vicenda cosi come è successo nel primo processo, il Comune di Santa Domenica Talao rischierà di pagare le spese agli avvocati della ditta, e dai vari processi per blocco stradale fioccheranno condanne per tutti coloro che hanno fermato i Tir tossici.
Ma dopo questa amara considerazione, bisogna constatare che la lotta paga e che in ogni caso la discarica rimarrà chiusa per sempre. La salute è garantita e varrà la proposta degli ambientalisti fatta al sindaco e già approvata dal consiglio comunale di far nascere sullo stesso terreno della discarica un grande Parco Geologico, il primo della Calabria.
Ma intanto che fine ha fatto l’inchiesta sui rifiuti tossici provenienti dalla Pertusola di Crotone?
Del processo non se ne parla più. Gli imputati sono tutti a piede libero. L’ex assesssore all’ambiente Stancato è libero insieme alla sua troupe ed è pronto a scendere in campo come sindaco nella sua cittadina di Paola dove alle ultime elezioni regionali presente nelle liste di centrodestra ha preso oltre duemila voti. Sembra che una pietra abbia seppellito tutto.
Ma ecco il colpo di scena. Nei primi giorni di settembre di quest’anno i carabinieri del Nos scoprono nelle campagne della sibaritide , fra Corigliano e Trebisacce, sotterrate in agrumeti, tonnellate di rifiuti tossici e radioattivi. E’ la conferma delle voci che giravano dall’arresto dell’assessore regionale Stancato. I rifiuti tossici, oltre 35 mila tonnellate, della Pertusola di Crotone venivano sotterrati nella sibaritide. Interviene a proposito il deputato cossuttiano Mario Brunetti, residente nella zona. Il deputato sostiene da anni , (a proposito ha presentato già da tempo una relazione alla commissione antimafia che si occupa del traffico dei rifiuti ) che la mafia utilizzi tutti i mezzi ed i posti possibili per nascondere i rifiuti tossici. Addirittura la mafia utilizzerebbe proprie ditte edili per seppellire nel cemento i rifiuti. Ed indica i piloni del viadotto "Saraceno" fra Trebisacce e Villapiana. Secondo il deputato nei piloni sarebbero cementati bidoni dal contenuto micidiale.
Che siano quelli della nave Korabi ?
In tutto questo periodo intanto il ministro Ronchi ha commissariato la regione Calabria in materia di rifiuti e nominato un proprio sub commissario: l’avvocato dei verdi Italo Reale.
Il piano dei rifiuti preparato dal commissario è stato immediatamente contestato da tutte le associazioni ambientaliste Legambientee WWF in testa che lo hanno trovato sovrastimato e non inerente alla realtà del territorio. Insorgono anche i comitati territoriali legati all’ambientalismo di base allorchè nel piano regionale dei rifiuti vengono inseriti due megainceneritori , uno nel territorio di Bisignano nel cosentino l’altro a Gioia Tauro nella provincia di Reggio Calabria.
A Bisignano inzia una dura lotta ed un lungo braccio di ferro fra popolazione che non vuole l’inceneritore e il commissario verde Reale che a tutti i costi vuole impiantarlo, nonostante tutta la zona sia a vocazione agricola (a proposito vedi nella pagina Contro gli inceneritori) CALABRIA).
http://www.sciroccorosso.org/cirillo2.htm#coll03
Epidemia di tumori in Puglia, Basilicata e Calabria – 1.parte: Paola e Amantea 7 settembre 2010
Epidemia di tumori 2.parte: Crotone29 settembre 2010
Epidemia di tumori 3.parte: Rotondella, Policoro, Scanzano Jonico20 ottobre 2010
Epidemia di tumori 4.parte: Puglia26 ottobre 2010
Epidemia di tumori 5.parte: Campania – Il triangolo della morte e i rifiuti del Nord11 novembre 2010
Epidemia di tumori 6.parte: Campania – Terzigno e il Parco del Vesuvio22 novembre 2010
Epidemia di tumori 7.parte: Latina, Borgo Montello, Montenero di Bisaccia 10 dicembre 2010
Epidemia di tumori nel Meridione. Appendice A: articoli dall'archivio di Repubblica 2 gennaio 2011
‘Ndrangheta: processo heracles per i clan di Crotone
'Ndrangheta: processo clan Crotonese, 20 condanne e 12 assoluzioni
Catanzaro, 7 giugno 2011 - Venti condanne e dodici assoluzioni totali sono state sentenziate oggi al termine del processo dibattimentale per 32 imputati coinvolti nell'inchiesta "Heracles", condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro contro presunti affiliati alle famiglie della 'ndrangheta crotonese (cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura). I giudici del tribunale collegiale di Crotone, dopo ben tre giorni di camera di consiglio, hanno inflitto pene comprese tra i 2 anni e mezzo ed i 28 anni di reclusione – inflitti a Salvatore Bonaventura ed Antonio Macri'.
Tra i condannati spicca il nome del'ex capogruppo del Pd al Comune di Crotone, Giuseppe Mercurio, che ha avuto una pena di 4 anni e mezzo; mentre tra gli assolti quello del presidente della Camera di commercio di Crotone, Fortunato Roberto Salerno. La requisitoria del sostituto procuratore della Repubblica Pierpaolo Bruni si era conclusa con la richiesta di 30 condanne – a pene comprese tra 22 anni di reclusione e 3 mesi di reclusione – e due assoluzioni.
L'operazione "Heracles" risale all'aprile 2008, ed e' stata divisa in due tranches, una scattata il 7 di quel mese, quando 39 persone furono sottoposte a fermo di indiziato di delitto, ed una di giorno 27, per l'esecuzione di 55 provvedimenti cautelari emessi dal gip di Catanzaro nei confronti di soggetti ritenuti affiliati alla cosca crotonese Vrenna- Corigliano-Bonaventura (tra i quali gli stessi 39 gia' fermati, ed altre 16 persone che avrebbero svolto la loro attivita' criminale nella citta' di Crotone).
L'attivita' investigativa, secondo le accuse, ha anche permesso di scoprire gli autori degli omicidi di Francesco Gallo e Leonardo Covelli, uccisi a Crotone nel 2000, per contrasti interni alla cosca – ieri il processo per gli otto imputati si e' concluso con due condanne all'ergastolo per Antonio e Salvatore Macri', ritenuti responsabili dell'omicidio di Gallo, e l'assoluzione di Antonio Basile, Franco e Massimo Maugeri, Luca Policastrese e Gianluca Nisi, accusati del delitto Covelli, oltre ad una condanna a tre anni per favoreggiamento per Antonio Combariati -, e di smantellare gli arsenali del sodalizio criminale.
Dall'inchiesta, inoltre, e' emerso l'interesse della 'ndrangheta verso il mega progetto turistico da 7 miliardi di euro denominato "Europaradiso". Al termine dell'indagine, la Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio di 128 persone, la maggior parte delle quali ha scelto il giudizio abbreviato, e rispetto a cui si e' gia' tenuto anche il grado d'appello. Trentadue gli imputati che hanno invece scelto il processo dibattimentale, che si e' concluso oggi pomeriggio.
Troppi tumori nel Meridione: il dossier del blog
La deriva from Michele D’ignazio on Vimeo.
Clicca per visualizzare il dossier (marzo)
Clicca per visualizzare l’aggiornamento (luglio)
Dopo 4 anni, qualche giorno addietro siamo arrivati a 200.000 visite. Anche se non sono contatti unici, si tratta comunque di un bel risultato. Il muro di omertà pian piano sta cadendo. Tra i visitatori del blog ci sarà anche qualche ‘ndranghetista all’estero che si vuol tenere aggiornato ma siamo sicuri che c’è anche tanta società civile onesta e laboriosa che vuole una Calabria libera dall’oppressione del pizzo, dai rifiuti tossici, dai politici incompetenti e collusi.
Il regalo ve lo facciamo noi, con la pubblicazione del dossier sui tumori nel meridione, sintesi di tutte le notizie pubblicate in precedenza. Il dossier doveva uscire nel mese di marzo ma non è stato possibile, per vari motivi. Poi si è voluto attendere l’esito del referendum del 12 e 13 giugno, che per fortuna ha scongiurato un ritorno al nucleare. Insieme al dossier, dunque, alleghiamo un aggiornamento sui fatti principali avvenuti da marzo ad oggi.
In ogni caso, siate vigili. Pare che ormai non ci si ammali che di tumori. Al di là dei dati ufficiali e delle tesi dei Ministri di turno. Al di là dei giornalai lecchini e fantasiosi che continuano a negare i problemi. Siate vigili. Vicino alle vostre case potrebbe passare un container radioattivo, dalle vostre falde acquifere potrebbe arrivare il veleno che poi va a finire nei vostri bicchieri, nei vostri fiumi e mari potrebbero esserci fusti con sostanze chimiche inviate al Sud dagli imprenditori padani, i pomodori che mangiate potrebbero essere irrigati con acque non proprio sicure. Senza contare quanti elettrodotti e antenne per i cellulari deturpano il vostro ambiente e creano campi elettromagnetici con onde che superano i limiti di legge.
E se nelle vostre città, nei vostri paesi, nelle vostre famiglie ogni settimana qualcuno si ammala di tumore, raccogliete i dati, le testimonianze, le firme e andate al Municipio, alla Prefettura e all’ASP a reclamare un registro tumori, un monitoraggio e una indagine epidemiologica sull’aumento delle patologie. Paghiamo le tasse anche per questo. E se noi terroni non siamo cittadini “di serie B” è un nostro diritto sapere di cosa moriamo. Se non altro per poter scegliere.
Continuate a seguirci, ricordando sempre che non avete più niente da perdere. Grazie a tutti.
p.s.: Commentando uno studio pubblicato sulla rivista Nature Review Cancer, Rosalie David ha dichiarato: “Nei tempi antichi il cancro era estremamente raro. Non c’è nulla nell’ambiente naturale che può provocare il cancro. Quindi deve trattarsi di una malattia artificiale derivante dall’inquinamento e dai cambiamenti nella nostra dieta e stile di vita. Il cancro sembra essere una malattia moderna creata dalla vita moderna. L’assenza virtuale di neoplasie nelle mummie deve essere interpretata come indicazione della loro rarità nell’antichità, indicando che i fattori che causano il cancro sono limitati alle società colpite dall’industrializzazione moderna. La cosa rilevante nel nostro studio è che fornisce una prospettiva storica rispetto a questa malattia. Oggi che abbiamo un quadro completo possiamo fare affermazioni molto chiare sui tassi di mortalità per cancro nelle società antiche. Abbiamo studiato periodi millenari, non solo 100 anni, ricavandone una rilevante mole di dati.”
Per saperne di più si può cliccare quì e quì.
Crotone, Heracles: Tredici sconti di pena, un’assoluzione e 6 conferme in appello
La corte d’Appello di Catanzaro ha emesso la propria sentenza per gli imputati coinvolti in quella che all’epoca fu denominata operazione Heracles contro alcuni tra i principali clan del Crotonese. Nel dispositivo si evidenzia una assoluzione per Michele Paglia, assistente di polizia penitenziaria
CROTONE – Tredici sconti di pena, un’assoluzione, la conferma delle ultime sei condanne e delle assoluzioni già sentenziate in primo grado. Si è concluso così il giudizio d’appello per gli imputati coinvolti nell’inchiesta «Heracles», condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro contro presunti affiliati alle famiglie della ‘ndrangheta crotonese (cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura), che hanno seguito la via del dibattimento. La Corte d’appello di Catanzaro oggi pomeriggio ha emesso la propria sentenza riformando parzialmente la pronuncia di primo grado del tribunale collegiale di Crotone che risale al 7 giugno scorso, quando i giudici hanno pronunciato venti condanne a pene comprese tra i 2 anni e mezzo ed i 28 anni di reclusione – questi ultimi inflitti a Salvatore Bonaventura ed Antonio Macrì – e dodici assoluzioni. Il collegio ha ridotto la pena a: Antonio Basile, a 11 anni di reclusione e 2.500 euro di multa; Nicola Basta, a 7 anni; Salvatore Bonaventura, a 23 anni; Egidio Cazzato, a 21 anni; Andrea Corrado, alias Nuccio, a 7 anni; Giuseppe Frisenda, alias Pacifissu, a 23 anni; Francesco Mellino, a 21 anni; Francesco Monti, alias Bandito, a 11 anni; Francesco Murgeri, alias Murgiò, a 9 anni e 1.800 euro; Salvatore Macrì, alias Chevrolet, a 11 anni; Antonio Macrì, a 24 anni; Gianluca Pennisi, a 6 anni e 1.800 euro; Francesco Vallone, a 11 anni. Assolto Michele Paglia, assistente di Polizia penitenziaria. Confermate le ultime sei condanne emesse in primo grado, tra le quali quella dell’ex capogruppo del Pd al Comune di Crotone, Giuseppe Mercurio, che ha avuto una pena di 4 anni e mezzo. L’operazione «Heracles» risale all’aprile 2008, ed è stata divisa in due tranches, una scattata il 7 di quel mese, quando 39 persone furono sottoposte a fermo di indiziato di delitto, ed una di giorno 27, per l’esecuzione di 55 provvedimenti cautelari emessi dal gip di Catanzaro nei confronti di soggetti ritenuti affiliati alla cosca crotonese Vrenna- Corigliano-Bonaventura (tra i quali gli stessi 39 già fermati, ed altre 16 persone che avrebbero svolto la loro attività criminale nella città di Crotone). L’attività investigativa, secondo le accuse, ha anche permesso di scoprire gli autori degli omicidi di Francesco Gallo e Leonardo Covelli, uccisi a Crotone nel 2000, per contrasti interni alla cosca – il processo per gli otto imputati si è concluso con due condanne all’ergastolo per Antonio e Salvatore Macrì, ritenuti responsabili dell’omicidio di Gallo, e l’assoluzione di Antonio Basile, Franco e Massimo Maugeri, Luca Policastrese e Gianluca Nisi, accusati del delitto Covelli, oltre ad una condanna a tre anni per favoreggiamento per Antonio Combariati -, e di smantellare gli arsenali del sodalizio criminale. Dall’inchiesta, inoltre, è emerso l’interesse della ‘ndrangheta verso il mega progetto turistico da 7 miliardi di euro denominato «Europaradiso». Al termine dell’indagine, la Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio di 128 persone, la maggior parte delle quali ha scelto il giudizio abbreviato, e rispetto a cui si è tenuto il grado d’appello che però la Corte di cassazione ha annullato, rinviando gli atti a Catanzaro per un nuovo giudizio di secondo grado.
03 aprile 2012 19:00
’Ndrangheta, soldi e armi gestiti dai cassieri della Lega
Marco Grasso e Matteo Indice
Genova – È un pentito a delineare ciò che fino a questo momento era stato solo accennato, mormorato, suggerito: Francesco Belsito, genovese, ex tesoriere della Lega Nord arrestato per la gestione spericolata di soldi pubblici, «riciclava i soldi della ’ndrangheta». Non solo. «Il suo predecessore (il riferimento è a Maurizio Balocchi, chiavarese e deceduto, ndr), oltre a favorire il riciclaggio ne deteneva anche le armi». Non è un sentito dire e nemmeno una boutade.
Seduto di fronte agli investigatori coordinati dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Genova Giovanni Arena - è il 21 agosto scorso – c’è un testimone di primissimo livello. Si chiama Francesco Oliverio, ha 43 anni, ed è un collaboratore di giustizia con un cursus honorum criminale di tutto rispetto. È stato capo del locale (l’emanazione dell’organizzazione sul territorio) di Barbaro Spinello (Crotone), clan che comanda «sei ’ndrine e un distaccamento a Rho, in provincia di Milano».
Per chi indaga è «assolutamente credibile» Oliverio, di cui è stata testata in più di un’occasione l’«affidabilità» (e nella trascrizione sono rimarcati più volte i riscontri fra sue dichiarazioni e accertamenti successivi). Ecco perché le sue parole sono così importanti. Fa nomi e riferimenti precisi sul potere ’ndranghetista in Liguria, apre scenari inediti e preoccupanti.
Come ad esempio il fatto che dalla Spezia a Ventimiglia non esistono solo quattro locali, come emerso finora nelle indagini (si era sempre parlato di Genova, Ventimiglia, Sarzana e Lavagna), ma almeno «dieci o quindici». Il collaboratore riempie verbali per giorni. Si va dal traffico di droga gestito dalle famiglie di Genova, Ventimiglia (Palamara) e Bordighera (Pellegrino-De Marte), agli intrecci con la Francia e Mentone; dalla copertura dei latitanti alla deferenza di cui godeva il boss di Ventimiglia Antonio Palamara nel carcere delle Vallette (dove l’organizzazione riusciva a trasmettere ordini grazie «alla compiacenza di alcuni agenti della penitenziaria»). Soprattutto, per la prima volta viene affrontato in maniera molto diretta e circostanziata un tasto delicatissimo e ancora poco chiaro: il rapporto fra la cosca De Stefano e quelli che erano i vertici del Carroccio.
«Parlando con un compare di Reggio (di cui viene fatto il nome durante l’interrogatorio, ndr) – spiega il pentito – venni a sapere che i De Stefano operavano tranquillamente in Liguria riciclando soldi e facendo investimenti». Di più: «Nel discorso, quale contatto, il compare aveva accennato all’ex tesoriere della lega Belsito, nonché al precedente tesoriere dello stesso partito da tempo deceduto, il quale oltre a favorirli nel riciclaggio gli custodiva anche le armi».
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2013/09/20/AQ6hYDS-ndrangheta_cassieri_gestiti.shtml
‘Ndrangheta: 17 arresti in tutta Italia Decisivo il contributo della Garofalo
Le persone sono tutte affiliate a un’organizzazione criminale e tra loro ci sono i responsabili di sette omicidi avvenuti tra il 1989 e il 2007
– Operazione dei carabinieri di Crotone che hanno arrestato 17 persone affiliate a un’organizzazione criminale legata alla ‘ndrangheta. Sono stati identificati i responsabili di sette omicidi avvenuti tra il 1989 e il 2007 in una guerra di cosche. Arresti e perquisizioni sono stati eseguiti in varie regioni tra cui l’Emilia Romagna, dove da anni le cosche del Crotonese concentrano i loro interessi.
sponsabili di sette omicidi avvenuti tra il 1989 e il 2007
– Operazione dei carabinieri di Crotone che hanno arrestato 17 persone affiliate a un’organizzazione criminale legata alla ‘ndrangheta. Sono stati identificati i responsabili di sette omicidi avvenuti tra il 1989 e il 2007 in una guerra di cosche. Arresti e perquisizioni sono stati eseguiti in varie regioni tra cui l’Emilia Romagna, dove da anni le cosche del Crotonese concentrano i loro interessi.
I provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal gip su richiesta della Dda di Catanzaro, sotto le direttive della quale si è svolta l’attività investigativa che ha portato agli arresti ed alle perquisizioni. Oltre che in Calabria, l’operazione è stata effettuata in Emilia, Romagna, Lombardia, Piemonte, Campania e Abruzzo. Agli arrestati vengono contestati, a vario titolo, oltre agli omicidi, la detenzione abusiva di armi e lo spaccio di droga.
Le indagini che hanno portato alla retata sono basate anche sulle dichiarazioni di Lea Garofalo, la testimone di giustizia fatta uccidere a Milano dal marito, Carlo Cosco. Prima che il marito la facesse sequestrare e uccidere, la Garofalo aveva fornito un importante contributo per svelare gli affari delle cosche della ‘ndrangheta del Crotonese.
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/2013/notizia/-ndrangheta-arrestate-17-persone_2006302.shtml
Altre ferriti di zinco sepolte a Sibari. Non lo dicono ambientalisti deliranti, ma il Sindaco.
Ferriti di zinco scoperte
nei terreni di Sibari
16/11/2013
L’inchiesta della Guardia di Finanza e della procura di Castrovillari è stata portata a galla da un’ordinanza del sindaco Gianni Papasso. Già nel giugno 2010 erano stati sequestrati 62 ettari di fondi agricoli coltivati a grano, ulivi e ortaggi
Ancora ferriti di zinco nelle campagne di Cassano: ritrovate all’interno di una più ampia discarica abusiva. Due persone indagate. Che gli scarti della lavorazione industriale dell’ex “Pertusola Sud” fossero sparsi anche al di fuori dei siti già identificati e da qualche tempo bonificati era una certezza. Già nel giugno del 2010 i militari del Gruppo della Guardia di Finanza di Sibari avevano sottoposto a sequestro 62 ettari di terreni (di cui 4 nella vicina Cerchiara di Calabria) coltivati a grano, ulivi ed ortaggi da ignari agricoltori. Adesso la scoperta di un nuovo giacimento. Difficile saperne di più. Al momento, non vi sono certezze neppure in ordine al quantitativo di ferriti effettivamente rinvenuto. Bocche cucite tra gli investigatori: a tradire l’esistenza di un’inchiesta che ha portato al rinvenimento delle scorie è stato il Comune di Cassano, con un’ordinanza a firma del sindaco Gianni Papasso.
Dramma ferriti di zinco
tra terrore e silenzio
23/11/2013
La scoperta a Lattughelle di 18mila tonnellate di rifiuti speciali, tra cui i veleni già noti da queste parti, pretende risposte immediate dai palazzi. Gli inquirenti e gli investigatori non si sbilanciano ma il tarlo del dubbio non lascia in pace la popolazione
Il silenzio assordante che avvolge il dramma ferriti di zinco diventa imbarazzante. Una settimana dopo l’esplosione del caso solo la segreteria cittadina di Rifondazione comunista ha il coraggio di guardare in faccia un problema enorme, che non merita questo trattamento. Così come non lo merita la gente di Sibari, Cassano e del resto del comprensorio. «All’appello mancano ancora altre 80.000 tonnellate di veleni», ha denunciato il segretario cittadino del Prc, Alessio Agostini. La magistratura inquirente sta facendo la sua parte, assieme alla guardia di finanza, ma non basta la morsa investigativa. Serve anche e soprattutto l’iniziativa politica. A esempio che decida come intervenire per evitare che i veleni interrati nel cuore agricolo della Sibaritide, a due passi da case, terreni coltivati, importanti vie di collegamento e molto altro, possano continuare a provocare danni oltre a quelli che, forse, hanno già provocato.
Problema ferriti
parla il sindaco
24/11/2013
Il primo cittadino ha indetto una conferenza stampa per chiarire i termini di una vicenda che ha rilanciato l’allarme ferriti nella sibaritide dopo il sequestro di una vasta area. Il sindaco: attivate le tutele, siamo vigili.
Torna l’incubo ferriti di zinco a Cassano dopo il sequestro disposto dal GIP del tribunale di Castrovilari, di un area di circa 30.000 mq in località Lattughelle di Sibari? Il sindaco della cittadina jonica ha indetto una conferenza stampa per chiarire i termini della questione e per rassicurare i cittadini che il comune ha già adottato i provvedimenti di tutela necessari. “Dopo aver ricevuto il provvedimento di sequestro, ha sottolineato il sindaco Papasso, del riscontro di rifiuti speciali e pericolosi, tra i quali rifiuti che recano una somiglianza visiva con le ferriti di zinco rinvenuti qualche decennio fa nelle discariche di Chidichimo, Tre ponti e Capraro, ho pensato immediatamente di nominare un consulente, con incarico gratuito, esperto in materia ambientale. Ho emesso un ordinanza contingibile ed urgente per prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e sicurezza urbana. Ho chiesto alla Provincia di Cosenza, competente sulla discarica sequestrata, la bonifica e messa in sicurezza dello stesso sito. Mi sono recato all’Assessorato regionale all’Ambiente per concordare un percorso comune. Ho chiesto a tutte le autorità competenti di estendere, con la massima solerzia, anche al sito oggetto di sequestro preventivo le attività di caratterizzazione già compiute o previste per i siti di Chidichimo e Tre Ponti. Dunque il nostro intervento è stato tempestivo e non è vero che siamo stati silenti. Anzi da parte nostra c’è stata una reazione energica ed attiva per tutelare la salute pubblica e l’ambiente. Di questo sito ce n’eravamo interessati già quest’estate, allorquando, anche di notte, abbiamo fatto dei sopralluoghi a seguito di emanazione di fumi insopportabili per i residenti. Ho informato la guardia di Finanza di Sibari, facendo il io dovere di tutore della salute pubblica. Dopo le opportune indagini è seguito il provvedimento di sequestro preventivo. Il problema ferriti di zinco a Cassano all’ionio purtroppo non ha avuto fine con la bonifica ultimata nel 2011, visto che la stessa Syndial ha presentato una variante al progetto operativo di bonifica al fine di eseguire ulteriori approfondimenti, anche alla luce di nuovi sequestri”. Il risarcimento ricevuto da Syndial nei mesi scorsi, ha poi precisato il indaco, non riguarda il ristoro dei danni ambientali, la salute pubblica non ha prezzo, ma si riferisce solo ai danni d’immagine di un comune interessato negli anni ’90 dall’illecito interessamento dei veleni come le ferriti di zinco.
articoli tratti da www.gazzettadelsud.it
Il caso ferriti di zinco all’attenzione della Quarta Commissione consiliare regionale
REGGIO CALABRIA, 25 NOVEMBRE 2013 – A seguito della scoperta e sequestro a Sibari di una discarica abusiva al cui interno sarebbe stata accertata dalla Procura di Castrovillari la presenza di ferriti di zinco, su iniziativa del suo presidente Gianluca Gallo la Quarta Commissione consiliare regionale “Ambiente e territorio” ha deciso di avviare, nell’ambito e nei limiti delle proprie competenze in materia, un’attività conoscitiva volta a chiarire i contorni della vicenda, nel rispetto dell’inchiesta giudiziaria condotta dalla magistratura inquirente.
In particolare, si cercherà di verificare, sulla base degli elementi disponibili non coperti da segreto istruttorio, quale sia lo stato esatto della situazione e quali debbano e possano essere i rimedi da adottare, anche nel breve e medio termine, per tutelare la salute dei cittadini delle zone interessate e giungere comunque senza indugio quantomeno all’idonea messa in sicurezza del sito, in attesa dell’espletamento della caratterizzazione e successiva bonifica dello stesso.
A tal fine, già nei prossimi giorni la Quarta Commissione, nel corso dei propri lavori, procederà all’audizione dell’ingegner Bruno Gualtieri, dirigente generale del Settore Politiche Ambientali della Regione Calabria; della dottoressa Sabrina Santagati, direttore generale dell’Arpacal; del sindaco di Cassano Ionio, Gianni Papasso.
Non sotovalutiamo le Ferriti di Zinco
Fonte: Sibari.info
Ieri pomeriggio il sindaco di Cassano Gianni Papasso ha convocato una conferenza stampa urgente per dare informazione sull’operato dell’amministrazione comunale riguardo alla recente scoperta di un’ulteriore discarica abusiva delle pericolosissime scorie industriali di ferriti di zinco provenienti dalla Pertusola di Crotone.
Quanto comunicato dal sindaco in un’ora circa è ampiamente illustrato nella nota stampa diffusa dal suo portavoce Pasquale Golia e pubblicata in coda al presente articolo.
Come i nostri abituali webnauti sanno bene, il nostro sito non è un giornale on-line, quindi non siamo vincolati da tempi tecnici di pubblicazione, il nostro spazio è utilizzato per approfondire notizie di varia natura e per esprimere pareri ed opinioni. Sull’argomento ferriti di zinco sono stati versati fiumi d’inchiostro, e da quando per la prima volta una troupe televisiva (Video Calabria, chiamata da Tonino Cavallaro nel lontano 2001 – Lino Polimeni realizzò il servizio) si occupò delle ferriti di zinco in località “Tre Ponti” sono stati trovati altri depositi abusivi, che a tutt’oggi non sono stati ancora completamente bonificati. L’urgente convocazione della Conferenza Stampa da parte del sindaco è stata provocata da un paio di articoli apparsi di recente sulla “Gazzetta del Sud” che mettevano appunto in allarme i cittadini di Cassano.
Per capire meglio il livello di pericolosità che questi illeciti depositi provocano diamo alcune brevi informazioni tratte in parte dal web. Sono migliaia le pagine e i siti presenti sulla rete che spiegano diffusamente i danni ambientali e alla salute delle persone provocati da queste discariche. Abbiamo estrapolato qualche appunto, giusto per poter avere una chiara idea dei rischi causati da queste polveri che, col vento che di norma spira forte sulla piana di Sibari, giungono dappertutto fino a centinaia di chilometri dai luoghi dove sono depositate. Le ferriti di zinco sono molto più pericolose di altri tipi di scorie industriali, pur presenti sempre illecitamente, in diverse località calabresi, perché sotto forma di polveri sottili contengono cadmio e arsenico, sono solubili, passano nei terreni e vanno a contaminare le falde acquifere e la vegetazione che da queste falde viene alimentata. Il solo cadmio presente in queste scorie, rappresenta un rischio altissimo, pensate che la soglia di quantitativo ammesso dalle norme europee è di 15 milligrammi per chilogrammo (di scorie n.d.r.). La ‘media’ dei materiali affossati nel nostro territorio e provenienti dalla Pertusola di Crotone è sui 230-250. C’è poco da scherzare. A Crotone è stata accertata la presenza di 528mila tonnellate di ferriti di zinco, a Sibari, solo fino ad ora ne sono state rilevate circa 100mila, che dite c’è da preoccuparsi? Ci possiamo accontentare della risposta che l’Istituto Superiore della Sanità ha dato al nostro sindaco e cioè di non ritenere opportuno effettuare uno studio epidemiologico sull’incidenza delle ferriti sui casi di tumore, perché ricadono nella media nazionale? Se, “a Crotone ci si ammala di tumore il 17% in più rispetto alla media nazionale. Solo sul sito Pertusola e sulla discarica consortile ci sono 528mila tonnellate di rifiuti pericolosi come il cadmio: un quantitativo in grado di uccidere l’Europa, non solo Crotone. Per non parlare di arsenico e piombo, che assieme amplificano la loro pericolosità”, come si può pensare che Sibari e quindi Doria, Cassano e tutto il circondario, siano rimaste immuni da questo autentico flagello? L’ing. Voce di Crotone, che si occupa del problema da molti anni, a proposito di altre 80mila tonnellate di scorie delle quali non si ha traccia, dice: “Ho avuto la possibilità di vedere le analisi chimiche delle scorie ritrovate a Cassano e sono convinto che non sono state trasportate come ferriti di zinco, ma qualche impresa locale le ha sicuramente miscelate con terra e successivamente interrate nella sibaritide.”
Dal “Rapporto sulle aree di bonifica nelle regioni italiane Obiettivo 1 – Rapporto sul settore bonifiche Regione Calabria in collaborazione con Task Force Ambiente presso Autorità Ambientale” redatto nel 2003, leggiamo: “E’ da evidenziare che in due discariche per lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi, localizzate nei comuni di Cassano allo Ionio e di Cerchiara di Calabria, sono ammassate, senza precauzione alcuna, centinaia di tonnellate di ferrite di zinco provenienti dalla Pertusola Sud di Crotone. Il suddetto materiale rappresenta un pericolo per la dispersione delle particelle ad opera del vento e per l’inquinamento prodotto al terreno e alle falde acquifere. In quest’ultimo caso il continuo dilavamento ad opera degli agenti naturali può portare a disperdere nel sottosuolo quote rilevanti di elementi tossici. Alcune preoccupazioni possono essere sollevate dagli impatti di alcune tipologie di intervento di messa in sicurezza dei siti inquinati quale ad esempio il trasporto del terreno contaminato dal sito inquinato all’impianto di discarica controllata (es. Intervento “off site”). Dopo le comunicazioni del Sindaco, ieri sera alcuni giornalisti hanno chiesto se c’era da preoccuparsi, riteniamo che la risposta sia chiara e inequivocabile: “Dobbiamo preoccuparci eccome!” Riteniamo che la Pubblica Amministrazione debba attivarsi affinché, in tempi brevi, effettui, anche a spese proprie, un’indagine sul reale stato di inquinamento del sottosuolo e delle falde nelle vicinanze delle discariche, i terreni interessati sono stati sottoposti per circa 20 anni agli effetti venefici di quei materiali e l’acqua delle falde alimenta anche alcuni pozzi che vengono utilizzati per erogare acqua potabile. Non si pensi, per esempio, che il pozzo Lo Caso o i pozzi di Marina di Sibari, si trovino a distanza di sicurezza, sarebbe un errore grave, la piana di Sibari poggia su un cuscinetto d’acqua formato da diversi strati e a diverse profondità in contatto tra loro, quindi il liquido inquinato può giungere anche a decine di chilometri dai luoghi dei depositi pericolosi. Questi non sono allarmismi, sono semplici misure precauzionali. L’operato dell’A.C. e del Sindaco, come traspare dagli atti dati in visione, è stato tempestivo e quindi encomiabile, ma a loro chiediamo di non abbassare la guardia e a tutte le forze politiche presenti, coinvolte direttamente o non, nella pubblica amministrazione, chiediamo maggiore attenzione al problema senza strumentalizzarlo, i cittadini desiderano garanzie di sicurezza non liti e battibecchi da cantina.
Antonio MIchele Cavallaro
COMUNICATO STAMPA
Diffuso dal Comune di Cassano
Il Sindaco di Cassano All’Ionio Giovanni Papasso ha ribadito l’impegno della sua Amministrazione per la tutela della salute pubblica nella vicenda ferriti di zinco. “Abbiamo fatto e faremo sempre il nostro dovere per tutelare i cittadini”.
“Ferriti di zinco – l’Amministrazione Comunale sempre vigile ed interessata alla tutela della salute pubblica”, questo il tema della conferenza stampa che il Sindaco di Cassano All’Ionio Giovanni Papasso ha tenuto questo pomeriggio presso l’Aula consiliare “G. Bloise” di Palazzo di Città. L’incontro con i media è stato convocato con l’intento, da parte dello stesso primo cittadino, di informare e chiarire alla cittadinanza alcuni aspetti legati alla questione ferriti di zinco, soprattutto alla luce di alcune notizie apparse sulla stampa locale in questi giorni. Alla conferenza stampa, assieme al Sindaco Giovanni Papasso, ha partecipato anche la Giunta municipale, il presidente del consiglio comunale, Mario Guaragna, ed i consiglieri municipali di maggioranza ed il dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale, arch. Nicola Bruno. «Ho inteso convocare questa conferenza stampa per informare i cittadini del nostro comune su come stanno le cose sulla vicenda ferriti di zinco – ha esordito il primo cittadino – soprattutto alla luce dell’ultimo sequestro che ha disposto il GIP presso la Procura della Repubblica di Castrovilari, che io ringrazio per il lavoro svolto sino ad ora». Il sindaco di Cassano All’Ionio ha informato che lo scorso 8 novembre 2013, acquisito al protocollo in data 11.11.2013, è stato notificato un Decreto di sequestro preventivo, emesso dal Gip presso il Tribunale di Castrovillari, di un area di circa 30.000 mq in località Lattughelle di Sibari, in cui sono stati riscontrati anche rifiuti speciali e pericolosi, tra i quali rifiuti che recano una somiglianza visiva con le ferriti di zinco rinvenuti qualche decennio fa nelle discariche di Chidichimo, Tre ponti e Capraro. L’amministrazione comunale non è rimasta silente difronte a questo provvedimento del GIP di Castrovillari, ha ribadito ripetutamente il Sindaco. «Ricevuta la notifica del decreto di sequestro- ha informato il primo cittadino cassanese – ho pensato immediatamente di nominare un consulente, con incarico gratuito, esperto in materia ambientale. Mi è stato suggerito, come prima misura, quella di emettere un ordinanza contingibile ed urgente per prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e sicurezza urbana. La stessa è stata dame firmata in data 15.11.2013, comunicata al Gip ad al legale dei proprietari della discarica, con la quale, per l’appunto, veniva intimato ai proprietari l’attivazione di tutte le misure necessarie a garantire la tutela della salute pubblica e limitare i fenomeni di contaminazione e di inquinamento. In pari data – ha informato ancora Papasso – ho chiesto alla Provincia di Cosenza, competente sulla discarica sequestrata, la bonifica e messa in sicurezza dello stesso sito. Il mio impegno non si è fermato qui, visto che in data 21.11.2013 mi sono recato all’Assessorato regionale all’Ambiente per concordare un percorso comune. In data 22.11.2013, quindi ieri, ho inviato una lettera al ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e per conoscenza anche al Prefetto; al Presidente della Regione; all’Assessorato regionale all’Ambiente; al Presidente della Provincia; al Procuratore della Repubblica, al GIP ed al Comando della Guardia di Finanza di Sibari, con la quale ho chiesto di estendere, con la massima solerzia, anche al sito oggetto di sequestro preventivo le attività di caratterizzazione già compiute o previste per i siti di Chidichimo e Tre Ponti. Dunque il nostro intervento è stato tempestivo e non è vero che siamo stati silenti. Anzi da parte nostra c’è stata una reazione energica ed attiva per tutelare la salute pubblica e l’ambiente. Di questo sito ce n’eravamo interessati già quest’estate, allorquando, anche di notte, abbiamo fatto dei sopralluoghi a seguito di emanazione di fumi insopportabili per i residenti. Ho informato la guardia di Finanza di Sibari, facendo il io dovere di tutore della salute pubblica. Dopo le opportune indagini è seguito il provvedimento di sequestro preventivo. Non potendo stabilire se si tratti o meno di un nuovo sito di ferriti di zinco, con questi atti ho chiesto dunque che si copia sull’area sequestrata lo scorso 8 novembre si compiano le opportune indagini e si compia un adeguato piano di caratterizzazione ». Il problema ferriti di zinco a Cassano all’ionio purtroppo non ha avuto fine con la bonifica ultimata nel 2011, visto che la stessa Syndial ha presentato una variante al progetto operativo di bonifica al fine di eseguire ulteriori approfondimenti, anche alla luce di nuovi sequestri. Alla luce di ciò, questa Amministrazione comunale, nella conferenza di servizi del 9.05.2013, per come emerso nel corso della stessa che nel sito “Sibari” è stata riscontrata una forte presenza di ferro, nociva, d’intesa con il sindaco di Cerchiara, hanno chiesto una sollecita rimozione dei rifiuti tossici extra SIN. Sempre d’intesa con il Comune di Cerchiara di Calabria abbiamo sollecitato all’Istituto Superiore della Sanità, competente in materia, uno studio epidemiologico sull’incidenza delle ferriti sul territorio. L’Istituto Superiore della Sanità non ha ritenuto opportuno avviare alcuna indagine. Non ci siamo tranquillizzati o fermati però – ha spiegato ancora il Sindaco – interpretando il sentimento di preoccupazione dei miei cittadini ho interpellato taluni medici e l’Asp 4 di Cosenza per monitorare la situazione. Con la stessa Asp abbiamo parlato di istituire in provincia un registro dei tumori. Questa Amministrazione comunale tiene molto alla tutela e difesa dell’ambiente e conseguentemente alla tutela della salute. Abbiamo fatto il nostro dovere, continueremo a farlo e rimanendo vigili ed interessati alla vicenda ferriti di zinco. I cittadini del comune di Cassano allo Ionio stiano certi del fatto che adotteremo tutti i provvedimenti del caso qualora emergessero nuovi ritrovamenti di ferriti. La prossima settimana solleciterò personalmente il ministro all’Ambiente Andrea Orlando per sensibilizzarlo sulla vicenda ferriti di zinco. Il risarcimento ricevuto da Syndial negli scorsi mesi non riguarda il ristoro dei danni ambientali, la salute pubblica non ha prezzo, ma si riferisce solo ai danni d’immagine di un comune interessato negli anni ’90 dall’illecito interessamento dei veleni come le ferriti di zinco».
Cassano All’Ionio, lì 23 novembre 2013
http://spezzanoalbanese.weboggi.it/Attualit%C3%A0/30618-Non-sotovalutiamo-le-Ferriti-di-Zinco-
Ufficio Stampa del Sindaco di Cassano Ionio
Il Portavoce
- See more at: http://spezzanoalbanese.weboggi.it/Attualit%C3%A0/30618-Non-sotovalutiamo-le-Ferriti-di-Zinco-#sthash.CUmRjFKK.dpuf
Ufficio Stampa del Sindaco di Cassano Ionio
Il Portavoce
- See more at: http://spezzanoalbanese.weboggi.it/Attualit%C3%A0/30618-Non-sotovalutiamo-le-Ferriti-di-Zinco-#sthash.CUmRjFKK.dpuf
Sibari, ferriti di zinco: ne mancano all’appello circa 80.000 Ton
L’ingegnere Voce denuncia: i conti non tornano, che fine hanno fatto circa 80 mila ton di ferriti?
Sulla bonifica e sulle questioni legate all’inquinamento post industriale, torna ancora una volta l’ingegnere Vincenzo Voce ( “Voce di un uomo che urla nel deserto …. – Vangelo secondo Marco 1, 1-3 ”). L’ingegnere Voce si occupa del problema bonifica da diversi anni, ed in più occasioni ha ribadito la necessità di intervenire sul territorio con una bonifica integrale, e non una semplice, quanto inefficace messa in sicurezza. Un esposto in Procura e interventi in ambito pubblico ed istituzionale, sembrano non aver sortito, ad oggi, per territorio crotonese, alcun risultato. Così in occasioni dei recenti ritrovamenti di ferriti di zinco a Cassano allo ionio, l’ingegnere Voce ritorna a gamba tesa sull’argomento, ed anzi rincara la dose. “Sulle scorie – scrive Voce – interrate occorre fare chiarezza. Quelle pericolose sono le ferriti di zinco, che nei giorni scorsi hanno ritrovato (per l’ennesima volta) a Cassano Ionio.
Quelle non pericolose sono quelle riconducibili al cic, che hanno interrato impropriamente, anche nei piazzali delle scuole. Ho avuto – spiega l’ingegnere – la possibilità di vedere le analisi chimiche delle scorie ritrovate a Cassano e sono convinto che non sono state trasportate come ferriti di zinco, ma qualche impresa locale le ha sicuramente miscelate con terra e successivamente interrate nella sibaritide. Di sicuro queste scorie pericolosissime non sono uscite dallo stabilimento per andare in discarica (e già questo è un reato ambientale gravissimo), e tanto meno potevano essere utilizzate come sottofondo stradale. Dal punto di vista processuale, la storia delle scorie riconducibili al cic si è conclusa con un nulla di fatto, ma il paradosso è un altro.
Durante l’indagine del consulente Ing. Martelloni, il perito ha trovato in Pertusola, sotto il materiale riconducibile al cic, ferriti di zinco interrati (pag. 345 nota 3 della sua perizia), ma scrive che non è di sua competenza, perchè deve occuparsi del cic. Allo stesso modo è stato fatto sulla passeggiata degli innamorati, dove le ferriti di zinco sono interrate almeno a 7-8 metri di profondità, rispetto ai suoi carotaggi (si veda la caratterizzazione di Fisia Italimpianti del 2006). Quindi, il consulente ha trovato i veleni, ma non può occuparsene.
E chi deve farlo se non la Procura della Repubblica? Per questo motivo ho presentato un anno fà un esposto, per evidenziare tutto ciò.
Se fosse vero quanto scrive Martelloni – e non si capisce perchè non dovrebbe essere vero, visto e considerato che la sua consulenza è stata ritenuta credibile – il progetto operativo di bonifica di Syndial, dovrebbe essere completamente rivisto, perchè i rifiuti interrati dovranno essere rimossi per legge.
In uno studio che ho fatto un paio di anni fa, ho verificato presso la Compagnia dei Lavoratori Portuali, i dati sulla movimentazione delle ferriti di zinco, che sono stati trasportati a Portovesme, dopo la chiusura del forno Cubilot (nel 1993), nonchè i dati sulla produzione di ferriti. I dati che ho riscontrato sono congrui con le scorie prodotte dal 1993 sino alla chiusura dello stabilimento, ma non lo sono con quelli degli anni precedenti.
Infatti, nel progetto operativo di bonifica presentato da Syndial, ho trovato un grafico molto interessante (allegato), nella quale riportano la produzione annuale di ferriti di zinco, quella accumulata sui piazzali (sino al 1971) e quelle trattate nel forno cubilot. Secondo questi dati, la quantità di ferriti di zinco presente alla chiusura del cubilot, doveva essere circa 3.000 ton.
In realtà ho verificato- prosegue Voce – che sommando anno per anno tutti i valori, alla chiusura del forno cubilot le ferriti stoccate dovevano essere circa 65.186 Ton (dati sul secco) e considerando un valore di umidità del 25% (in difetto), queste dovevano essere almeno 85.500 Ton.
Altro che 3.000 ton! Queste sono le farriti di zinco che mancano all’appello. Secondo i miei calcoli a Cassano Ionio e Cerchiara Calabro, sino ad oggi, a guardare le analisi chimiche, ne hanno trovate non più di 10.000 ton.
E le altre dove sono? E questo senza considerare che è veramente inverosimile che nel 1971 le ferriti di zinco stoccate fossero solo 350.000 ton. Pensate che in quasi 50 anni di produzione dello zinco, senza il forno cubilot, abbiano ammassato nello stabilimento tutta la produzione di ferriti? IO NON CI CREDO!!!!!!!”
http://www.crotone24news.it/territorio/7558-ferriti-di-zinco.html
‘Ndrangheta, Carolina Girasole arrestata
‘Ndrangheta, Carolina Girasole arrestata. L’ex sindaco antimafia ai domiciliari
Era stata alla guida di Isola Capo Rizzuto dal 2008 al 2013. Fermata insieme ad altre 12 persone con l’accusa di voto di scambio, a maggio le hanno incendiato la casa di villeggiatura. Coinvolto anche il marito. La Procura: “1.350 voti in cambio di favori sui terreni confiscati”
E’ sempre stata in prima fila contro la ‘ndrangheta. La stessa ‘ndrangheta che arrivò a incendiarle la casa al mare per intimidirla. La stessa ‘ndrangheta a cui, adesso, viene accostato il suo nome. Carolina Girasole, ex sindaco di Isola Capo Rizzuto dal 2008 al 20013, è agli arresti domiciliari con l’accusa di essere stata eletta grazie a voti sporchi, in cambio dei quali avrebbe garantito favori della ‘ndrina Arena. Una delle cosche più potenti all’interno dell’organizzazione, estesa in altre regioni italiane e all’estero. La Guardia di Finanza di Crotone con l’operazione “Insula” ha eseguito 13 ordinanze di custodia cautelare con accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione elettorale, turbativa d’asta, usura, favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Tra gli arrestati ci sono soggetti affiliati alla ‘ndrangheta, un poliziotto che avrebbe passato informazioni alla cosca e il boss Nicola Arena, di 76 anni, capo dell’omonima ‘ndrina, già detenuto. Le ordinanze sono state emesse dal gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura distrettuale antimafia. Agli arresti domiciliari è finito anche il marito dell’ex sindaco che avrebbe chiesto esplicitamente appoggio alla cosca Arena per l’elezione di Carolina Girasole a primo cittadino nel 2008.
E’ sempre stata in prima fila contro la ‘ndrangheta. La stessa ‘ndrangheta che arrivò a incendiarle la casa al mare per intimidirla. La stessa ‘ndrangheta a cui, adesso, viene accostato il suo nome. Carolina Girasole, ex sindaco di Isola Capo Rizzuto dal 2008 al 20013, è agli arresti domiciliari con l’accusa di essere stata eletta grazie a voti sporchi, in cambio dei quali avrebbe garantito favori della ‘ndrina Arena. Una delle cosche più potenti all’interno dell’organizzazione, estesa in altre regioni italiane e all’estero. La Guardia di Finanza di Crotone con l’operazione “Insula” ha eseguito 13 ordinanze di custodia cautelare con accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione elettorale, turbativa d’asta, usura, favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Tra gli arrestati ci sono soggetti affiliati alla ‘ndrangheta, un poliziotto che avrebbe passato informazioni alla cosca e il boss Nicola Arena, di 76 anni, capo dell’omonima ‘ndrina, già detenuto. Le ordinanze sono state emesse dal gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura distrettuale antimafia. Agli arresti domiciliari è finito anche il marito dell’ex sindaco che avrebbe chiesto esplicitamente appoggio alla cosca Arena per l’elezione di Carolina Girasole a primo cittadino nel 2008.
La Girasole, secondo le Fiamme gialle, in cambio dei voti sarebbe stata accomodante nei confronti della cosca e di un terreno di 78 ettari nella disponibilità della famiglia sequestrato nel 2005, e confiscato nel 2007 . In particolare gli Arena garantirono 1.350 voti per l’elezione a sindaco di Isola Capo Rizzuto. E’ quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Abigail Mellace, che ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Salvatore Curcio. Nelle oltre cinquecento pagine il giudice evidenzia che ci fu un accordo tra Franco Pugliese, marito di Carolina Girasole, con Massimo e Pasquale Arena, figli del boss Nicola Arena, per “ottenere voti effettivamente reperiti ed assicurati dalla cosca in misura di almeno 1.350″. Il patto tra la cosca e l’allora sindaco era finalizzato a “futuri favoritismi – prosegue il giudice – ed agevolazioni in favore della consorteria di ‘ndrangheta da parte del sindaco e della sua amministrazione”. Favori che si concretizzavano attraverso un’attività amministrativa apparentemente lecita e “sapientemente guidata, nell’assicurare alla cosca Arena non solo il mantenimento di fatto del possesso dei terreni confiscati a Nicola Arena, quanto la loro coltivazione a finocchio e la relativa raccolta dei prodotti inerenti all’annata agraria 2010″.
“Glielo direi io come ha preso i voti“. E’ questa una delle frasi pronunciate da Pasquale Arena, figlio del boss dell’omonima cosca Nicola Arena, nel corso di una conversazione intercettata e riportata nell’ordinanza di custodia cautelare. Nella telefonata Arena, stizzito, parla con Francesco Notaro, dipendente comunale e responsabile dell’ufficio demografico del Comune di Isola Capo Rizzuto, che gli aveva indicato la Girasole come “la persona da portare avanti” in campagna elettorale. Il boss poi ricorda che “quella notte, andando e tornando da Crotone, gli abbiamo procurato 350 voti anche con sigarette e omaggi”.
Carolina Girasole, professoressa e attualmente consigliere di minoranza, venne eletta nel 2008 nella lista civica di centrosinistra, alle ultime elezioni politiche era stata candidata alla Camera con Scelta civica di Mario Monti ma non venne eletta. A maggio la sua casa al mare venne incendiata, una minaccia, si pensò subito, per il suo impegno antimafia. A Il Fatto Quotidiano denunciò di essere stata abbandonata dal suo stesso partito, il Partito democratico che alle elezioni amministrative di quello stesso mese preferì appoggiare Nuccio Milone, ma venne comunque eletta come consigliere di opposizione. L’ipotesi di reato a suo carico è corruzione elettorale in occasione delle elezioni amministrative del 2008.
Nei cinque anni precedenti, la Girasole aveva incentrato il suo mandato contro la criminalità organizzata. Per questo venne accomunata ai primi cittadini di Monasterace e Rosarno, Maria Carmela Lanzetta ed Elisabetta Tripodi (la prima non è più in carica), insieme alle quali aveva partecipato a numerose manifestazioni antimafia. Ad una di queste partecipò anche l’allora segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, venuto in Calabria per esprimere solidarietà a Maria Carmela Lanzetta dopo un’intimidazione subita.
Il procuratore della Dda di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, ha espresso “dolore” per il coinvolgimento dell’ex sindaco, perché “questo alimenta la sfiducia”. Il Procuratore ha spiegato poi l’origine dell’indagine: “Le investigazioni sottoposte al giudice – ha aggiunto Lombardo – nascono dalle osservazioni della cosca Arena. Non abbiamo seguito le elezioni del 2008. Non ce ne era motivo. Ma la verità dobbiamo seguirla fino in fondo“.
‘Ndrangheta, “al sindaco antimafia Girasole l’omaggio del boss: una cassa di finocchi”
Ecco le carte che hanno portato all’arresto dell’ex prima cittadina di Isola di Capo Rizzuto (Crotone), nota per il suo impegno contro i clan. Secondo la Procura di Catanzaro, in cambio di appoggio elettorale avrebbe consentito a un prestanome del clan Arena di vendere il raccolto di un campo confiscato. Da qui l’omaggio. Il legale: “E’ stata sempre contro le cosche, in quel bando il Comune non c’entra”
“Il sindaco Carolina Girasole, nel momento in cui era chiamata a svolgere, con rigore e imparzialità, le sue funzioni nell’interesse della collettività e a dare un primo, vero tangibile segno della volontà dei cittadini di Isola di ribellarsi a quel giogo mafioso che per anni li ha oppressi, ha abdicato completamente al proprio ruolo e, a dispetto di tanti proclami mediatici, ha permesso alla criminalità organizzata di conseguire i suoi obiettivi e di dettare, ancora una volta, le sue leggi”. Cade così un simbolo dell’antimafia calabrese. Il gip Abigail Mellace non usa mezzi termini nell’ordinanza di custodia cautelare che ha colpito il sindaco di Isola Capo Rizzuto accusata di corruzione elettorale.
Nelle quasi 400 pagine firmate dal giudice per le indagini preliminari viene spiegato come Carolina Girasole sarebbe stata eletta con i voti della cosca Arena e come avrebbe consentito ai boss di continuare a gestire un terreno di 100 ettari confiscato. Anche se non c’è un contatto diretto tra il sindaco e la cosca, per gli inquirenti (coordinati dal sostituto procuratore generale Salvatore Curcio) ci sono sufficienti prove per dimostrare i favori elargiti alla ‘ndrangheta.
“Si rimane esterrefatti, però la realtà è questa. – commenta il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – Noi nel corso di attività di indagine sui terreni confiscati agli Arena, nel 2010 abbiamo scoperto che la cosca aveva votato per lei. I contatti sarebbero stati tenuti dal marito, Franco Pugliese che è cognato di un Arena in quanto sua sorella ha sposato il nipote del boss Nicola Arena”.
L’impianto accusatorio poggia le sue basi sulle intercettazioni telefoniche e ambientali da cui emerge che, nel periodo della camapagna elettorale del 2008, il marito della Girasole “si era recato presso il suo bar per chiedere il ‘loro” sostegno, sostegno che era stato prontamente assicurato”. Per gli inquirenti sono 1350 le preferenze che la ‘ndrangheta avrebbe assicurato alla Girasole. È stato il boss Massimo Arena a parlare di politica facendo riferimento al sindaco: “Non possiamo dirlo che gli abbiamo dato i voti… il marito è venuto avanti al bar dicendo… mi raccomando qua..la..proprio il marito… 1000 voti. Praticamente Pasquale era là dice che faceva favori ai cristiani per dargli i voti”.
Pasquale Arena conferma tutto e, ignaro della cimice all’interno di un Audi A4, si confida con un amico: “Si il sindaco è stato bravo no? Glielo direi io come ha preso i voti!!!… lasciamolo stare… che questa è una femmina… questa è una merda… e tu l’hai voluta portare avanti… corriamo scappiamo… quella notte andando e tornando da Crotone… 350 Voti… questo è… queste sono le persone vedi… sigarette… omaggi”.
“Chiedere voti e sostegno per una candidatura a una famiglia di ‘ndrangheta e pensare di non doverne pagare successivamente un prezzo è fuori da ogni logica”. Il pm Curcio non ha dubbi: “I voti sono stati richiesti nella consapevolezza delle conseguenze che potevano derivare. I fatti hanno dimostrato come, alla prima occasione, la famiglia Arena ha riscosso il credito vantato nei confronti del sindaco Girasole. Non è un credito economico, ma è un credito di riconoscenza, che ha legato un pezzo di Stato ad una consorteria criminale”.
Il riferimento è ai terreni confiscati che la cosca Arena coltivava a finocchio. L’amministrazione Girasole avrebbe concesso al clan “non solo il mantenimento di fatto del possesso dei terreni confiscati, quanto la loro coltivazione e la relativa raccolta dei prodotti inerenti all’annata agraria 2010, consentendo agli stessi (Arena, ndr), attraverso l’omessa frangizollatura dei terreni, l’indizione di una gara mediante apposito bando e la conseguente turbativa della gara stessa, di commercializzare il prodotto e ricavarne un profitto lordo pari a un milione di euro».
In sostanza, il sindaco antimafia piuttosto che disporre la frangizollatura dei terreni confiscati destinati all’associazione “Libera Terra Crotone”, una volta che l’Agenzia dei beni confiscati ha consegnato i terreni al Comune, il 7 dicembre 2010 ha predisposto un bando per la raccolta dei finocchi seminati su quei 100 ettari. Un bando che, neanche a dirlo, sarebbe stato vinto da un prestanome della cosca che, così, “non solo recuperava le spese di coltivazione, ammontanti a 250mila euro, sostenute nella annata agraria precedente per l’acquisto delle semenze di finocchio, ma introitava rilevanti profitti, pari ad utile netto di almeno 750mila euro”. La ‘ndrangheta incassa ma ringrazia pure. Ecco quindi che dalle indagini è emerso che gli Arena avrebbero consegnato “in dono” cassette di finocchi alla madre e al suocero del sindaco Girasole. In un’intercettazione, due indagati parlano addirittura di una cassetta da consegnare allo stesso primo cittadino.
“È evidente – scrivono i magistrati – che il dono di una cassetta di finocchi non ha un apprezzabile valore materiale; è altrettanto vero però che il medesimo gesto ha un grande significato simbolico soprattutto se valutato alla luce di quelle che sono le regole non scritte ma universalmente conosciute della cultura calabrese secondo la quale un omaggio è sempre e comunque un segno di grande rispetto e stima e non viene mai fatto in favore di chi non lo merita”.
“Ci sembra di vivere nel paese di Pinocchio dove le persone per bene finiscono in galera perché hanno cercato di fare il loro dovere mentre i delinquenti restano a piede libero e semmai vengono pure premiati qualche volta”. Lo sfogo è dell’avvocato Marcello Bombardiere, difensore della Girasole della quale è stato anche assessore: “Dal punto di vista penale non c’è nulla a carico dell’ex sindaco. Non ci sono intercettazioni fatte nei suoi confronti o del marito, ma solo a carico di due soggetti arrestati in questa vicenda che notoriamente odiavano la Girasole perché è stata l’unica che ha osato mettersi contro la famiglia mafiosa degli Arena rischiando anche la vita. Le dico questo perché se è vero che la Girasole fosse stata d’accordo con gli Arena c’era il modo di assegnare i terreni indirittamente ad associazioni del territorio e, invece, la Girasole ha portato avanti “Libera”. Erano stati coltivati dei finocchi dagli Arena che dovevano andare al macero. Il Comune ha deciso di dare a qualcun altro la possibilità di raccogliere i finocchi e di venderli. Il bando l’ha gestito la Stazione unica appaltante e non il Comune. In tutto questo la Girasole si è confrontata con la prefettura”.
Le iene vanno a Crotone per i tumori
clicca qui per vedere il servizio
http://www.iene.mediaset.it/puntate/2014/02/05/toffa-crotone-la-terra-dei-veleni_8208.shtml
‘Ndrangheta: ultime notizie dalla Calabria
Un’altra retata in Calabria, stamattina all’alba, nei confronti di presunti aderenti alla ‘ndrangheta. I carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Catanzaro e della Compagnia di Lamezia Terme hanno effettuato un’operazione, denominata “Chimera”, che ha portato all’arresto di 24 persone, tra cui quattro donne, ritenute legate alla cosca di ‘ndrangheta dei Cerra-Torcasio-Gualtieri di Nicastro di Lamezia Terme, con base operativa nella frazione Capizzaglie.
Traffico di armi, condizionamento di appalti pubblici, traffico di droga ed estorsioni sono i reati contestati alle persone arrestate, commessi, secondo l’accusa, dal 2010 ad oggi. L’inchiesta e’ stata coordinata dalla Dda di Catanzaro.
All’operazione, che interessa anche la provincia di Firenze, hanno partecipato oltre 200 carabinieri appartenenti ai Reparti territoriali ed ai “Cacciatori di Calabria”, insieme ad unità cinofile.
‘Ndrangheta, sequestrati beni per 10 milioni di euro ad affiliati cosca Tegano
Reggio Calabria. Gli uomini del Comando Provinciale di Reggio Calabria, in esecuzione di specifico provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del locale Tribunale, hanno sequestrato, a sogetti ritenuti affiliati alla potente cosca di ‘ndrangheta Tegano,operante nella città, un’ingente patrimonio mobiliare, immobiliare e societario, per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro .
Le articolate indagini di polizia giudiziaria, condotte dai Finanzieri del Gruppo di Reggio Calabria e coordinate dalla locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia , hanno messo in risalto la rilevante sperequazione tra i redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale registrato negli ultimi anni da parte di imprenditori reggini ritenuti vicini ad una delle cosche di ‘ndrangheta egemone nel capoluogo.
I destinatari del provvedimento di prevenzione sono i noti imprenditori reggini LAVILLA Giuseppe ed i figli Antonio e Maurizio. Già assurti alle cronache cittadine per essere gravemente sospettati di appartenere alla criminalità organizzata e specificatamente alla potente cosca “TEGANO” operante nel Rione Archi.
Numerosi sono i collaboratori di giustizia che hanno fornito utili e riscontrate dichiarazioni nei confronti dei proposti, indicando i Lavilla come imprenditori al soldo della cosca “TEGANO”.
Forte è anche il vincolo familiare tra i LAVILLA ed i TEGANO, infatti LAVILLA Antonio è coniugato con TEGANO Saveria figlia del più noto Giovanni.
Un quadro criminale che non è sfuggito agli uomini delle Fiamme Gialle di Reggio Calabria i quali, su delega della Procura della Repubblica di Reggio Calabria –Direzione Distrettuale Antimafia- hanno ricostruito il patrimonio personale e imprenditoriale dei LAVILLA.
Attraverso un’accurata rielaborazione dei dati fiscali e patrimoniali acquisiti, veniva evidenziata la notevole sperequazione tra redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale accertato.
Infatti attraverso un’accurata rielaborazione, sono stati confrontati i numerosissimi dati acquisiti, mettendo in risalto l’aspetto della sperequazione tra redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale accertato, per poi procedere ad una nuova e definitiva analisi contabile, che ha consentito di evidenziare un eccezionale arricchimento patrimoniale dei soggetti attenzionati, realizzato nel corso degli ultimi anni.
La complessa attività di ricostruzione effettuata dai militari del Gruppo ha portato la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ad emettere il provvedimento di sequestro eseguito in data odierna con il quale si è sottratto alla ‘ndrangheta un patrimonio illecitamente accumulato tra beni mobili, immobili ed attività commerciali, investito principalmente nel settore dell’edilizia e del noleggio di distributori automatici di alimenti.
Tra le società cadute nella rete dei Finanzieri, spicca la nota CALABRA VENDING s.r.l., leader nella distribuzione di macchine automatiche per la vendita di caffè ed alimenti, con sede proprio nel Rione Archi della città. Azienda che ultimamente stava commercializzando una nuova marca di caffè, chiamato “Caffè Lavilla”.
Tra gli immobili oggetto del sequestro vi è un intero palazzo, in corso di realizzazione.
Nel dettaglio i beni sottoposti a sequestro sono i seguenti:
1) Il 66,66 % delle quote della FI.LA. Games s.a.s. di Reggio Calabria;
2) L’8% delle quote societarie della FUTURVENDING s.r.l. di Villa San Giovanni (RC);
3) capitale sociale, quote societarie e patrimonio aziendale della IMPRESA LAVILLA s.r.l. di Reggio Calabria;
4) capitale sociale, quote societarie e patrimonio aziendale della CALABRA VENDING s.r.l. di Reggio Calabria;
5) capitale sociale, quote societarie e patrimonio aziendale della IMPRESA COSTRUZIONI REGGINE DI LAVILLA Antonio s.a.s. di Reggio Calabria;
6) capitale sociale, quote societarie e patrimonio aziendale della LAVILLA COSTRUZIONI s.r.l. di Reggio Calabria;
7) Il 60% delle capitale sociale della CRISTAL s.a.s. di FICARA Giovanni & C. di Reggio Calabria;
8) Il 60% delle capitale sociale della Bar CRISTAL s.n.c. di Reggio Calabria;
9) Intero capitale sociale, quote societarie e beni aziendali della “BUSINESS COSTRUZIONI” S.r.l. di Reggio Calabria.
10) Una autovettura;
11) Nove unità immobiliari di cui un intero stabile in corso di realizzazione.
‘Ndrangheta: operazione Carabinieri a Crotone, 19 fermi
22 Maggio 2014 – 12:22
(ASCA) – Crotone, 22 mag 2014 – La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha disposto 19 fermi per indiziati di delitto, essendo state accertate una serie di estorsioni ad imprenditori edili, agricoli e turistico-alberghieri del Crotonese. I fermati – si legge in un comunicato dell’Arma -, attraverso minacce, intimidazioni e violenze erano riusciti ad imporre il monopolio nelle costruzioni, anche in ambito privato, nonche’ un vero e proprio racket delle castagne e dell’uva, di cui la ‘ndrangheta decideva i prezzi all’ingrosso ed al dettaglio, con guadagni di centinaia di migliaia di euro, imponendo anche la manodopera. A chi non si adeguava al racket venivano bruciati i camion e tagliati gli alberi e le viti. Scoperta anche una rete di favoreggiatori di latitanti. Disarticolata, inoltre, una fiorente ed articolata attivita’ di spaccio di stupefacenti, e la cocaina era venduta al dettaglio a giovani della provincia di Crotone. Scoperte inoltre due rapine in danno di uffici postali ed una in abitazione, nel corso della quale un anziano era stato legato, imbavagliato e picchiato. Gli associati avevano un’abbondante disponibilita’ di armi. I fermi sono stati eseguiti dai carabinieri del comando provinciale di Crotone a Petilia Policastro ed in altri centri del Crotonese. L’operazione, nome in codice ‘Tabula rasa’ e che ha visto l’intervento questa mattina di un centinaio di militari -, ha disarticolato le cosche e colpiti gli interessi illegali e le ramificazioni nel settore economico, produttivo e sociale. Scoperta anche una rete di favoreggiatori di latitanti. Disarticolata inoltre una fiorente ed articolata attivita’ di spaccio di stupefacenti, e la cocaina era venduta al dettaglio a giovani della provincia di Crotone. Scoperte, inoltre due rapine in danno di uffici postali ed una in abitazione, nel corso della quale un anziano era stato legato, imbavagliato e picchiato. red/res
Confisca di beni per 6 mln a esponente della cosca dei Gallico
22/05/2014
Il provvedimento nei confronti di Antonino Ciappina, di 38 anni, ritenuto dagli investigatori affiliato alla cosca di Palmi, con ramificazioni nel nord Italia. Operazione della Polizia di Stato nel Reggino, Milano e Bergamo.
E’ senza soluzione di continuità l’azione della polizia di Stato contro l’aggressione dei patrimoni illeciti acquisiti dalle cosche della ‘ndrangheta. Il provvedimento di confisca dei beni nei confronti di Antonino Ciappina è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria, che ha accolto la richiesta della Dda. I beni erano stati già sequestrati nel maggio del 2013. Il sequestro e la successiva confisca traggono origine dall’indagine della Squadra Mobile di Reggio Calabria e del Commissariato di Palmi da cui è scaturito il procedimento penale originato dall’operazione “Cosa Mia” nei confronti degli esponenti della cosca Gallico. Dalle indagini era emersa anche l’infiltrazione della cosca nei lavori di ammodernamento del tratto tra Gioia Tauro e Scilla dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. A Ciappina è stato contestato di aver fornito un contributo per la vita dell’associazione. I beni confiscati sono un immobile di circa 300 metri quadrati a Palmi; quote sociali e patrimonio aziendale (comprensivo di conti correnti) della società “Lovena Srl”, con sede legale a Milano che opera nella costruzione di edifici residenziali; quote sociali e patrimonio aziendale (comprensivo di conti correnti) della società “Varedil Costruzioni Srl”, con sede legale a Palmi ed impegnata nell’acquisto, vendita, permuta, locazione e sublocazione di immobili civili, industriali e rustici, nonchè di costruzione di immobili civili e industriali; quote sociali e patrimonio aziendale (comprensivo di conti correnti) della società “Diana Pallet Srl”, con sede legale in Treviglio (Bergamo) che opera nel settore del commercio all’ingrosso di legname, operazioni di facchinaggio, trasporto merci e manovalanza in genere; lavori di pulizia in genere; patrimonio aziendale dell’impresa individuale “Outlet della frutta con sede legale in Mozzanica (Bergamo) che opera nel settore del commercio di frutta e verdura e polizze assicurative ed altri conti correnti, libretti di deposito al portatore o nominativi. (ANSA)
(ANSA) – PALMI (REGGIO CALABRIA), 28 MAG – Sedici persone sono state condannate e pene variabili dai 2 ai 18 anni nel processo contro gli esponenti della cosca della ‘ndrangheta dei Pesce di Rosarno. Durante la lettura della sentenza, emessa dai giudici di Palmi, si sono verificati momenti di tensione con alcuni parenti degli imputati che sono svenuti ed altri che urlavano. La condanna più alta, 18 anni, è stata inflitta a Giuseppe Pesce, figlio del boss Antonino.
Processo Califfo. Condanne per oltre 150 anni di carcere per la cosca Pesce
Palmi (Reggio Calabria). Il Tribunale di Palmi, Antonio Battaglia presidente, Claudio Paris e Anna Laura Ascioti giudici, ha pronunciato la sentenza del processo “Califfo”, scaturito dalla due operazioni, Califfo e Califfo 2, contro il clan Pesce di Rosarno e poi riunite in un unico procedimento.
Le due indagini si sono concluse rispettivamente nel febbraio e nell’aprile 2012 quando i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e il ROS hanno eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, e ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Reggio Calabria, nei confronti di presunti appartenenti alla ‘ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata cosca “Pesce”, operante nel territorio di Rosarno (RC) e zone limitrofe, responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso e intestazione fittizia di beni.
In particolare, durante le indagini si è arrivati al sequestro di un pizzino scritto in carcere da Francesco Pesce, col quale, secondo l’impianto accusatorio, trasmetteva la reggenza della cosca al fratello Giuseppe.
Durissime le condanne inflitte, in accoglimento delle richieste del pm della DDA di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti, la Corte ha comminato in totale oltre 150 anni di carcere. Due sole le assoluzioni piene, per Giuseppe Fabrizio e Maria Rosa Angilletta, perché il fatto non costituisce reato; Domenico Fortugno assolto limitatamente al reato ascritto al capo A, per non aver commesso il fatto. La Corte, inoltre, ha stabilito il risarcimento in favore del Comune di Rosarno, costituitosi parte civile, da liquidarsi in separata sede, con una provvisionale di 100 mila euro. Stessa cosa per la Regione Calabria e la Provincia di Reggio Calabria, alle quali è stata riconosciuta una provvisionale di 30 mila euro ciascuno. Infine la Corte ha ordinato la confisca della “Calabria Trasporti S.A.S. con sede legale in Rosarno e della “Medma Trans S.A.S. con sede legale in Rosarno.
Di seguito le condanne comminate:
- Giuseppe Pesce, 18 anni di reclusione,
- Biagio Delmiro, 14 anni e 8 mesi,
- Saverio Marafioti, 14 anni e 8 mesi,
- Domenico Sibio, 14 anni,
- Danilo D’Amico, 13 anni e 4 mesi,
- Rocco Messina, 13 anni e 4 mesi,
- Francescantonio Muzzupappa, 13 anni e 4 mesi,
- Giuseppe Rao, 13 anni e 4 mesi,
- Francesco Antonio Tocco, 13 anni e 4 mesi,
- Ilenia Bellocco, 12 anni,
- Domenico Fortugno, 5 anni,
- Maria Carmela D’Agostino, 2 anni e 8 mesi,
- Demetrio Fortugno, 2 anni e 8 mesi,
- Maria Grazia Spataro, 2 anni e 8 mesi.
http://www.newz.it/2014/05/28/processo-califfo-condanne-per-oltre-150-anni-di-carcere-per-la-cosca-pesce/198652/
‘Ndrangheta, maxi sequestro della DIA: colpiti beni per 13 mln di euro
Reggio Calabria. La Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria – a seguito di una proposta di applicazione di misura di prevenzione personale e patrimoniale formulata dal Direttore della D.I.A., Arturo DE FELICE – ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo di beni emesso dal Tribunale di Reggio Calabria – Sez. Mis. di Prev., presieduto dalla Dssa. Ornella PASTORE, nei confronti di ROMANO Nicola, di 65 anni, nativo di Antonimina (RC), operaio forestale, ma che di fatto svolgeva l’attività di imprenditore, occupandosi delle imprese di famiglia, gestendo direttamente la realizzazione di opere pubbliche ed il taglio boschivo, forte del legame mantenuto per diversi anni, con la famiglia mafiosa dei CORDÌ attiva a Locri (RC). In atto si trova in regime di detenzione carceraria.
‘Ndrangheta: “Show down”, in appello confermate 9 condanne
Si è concluso con una condanna lievemente ridotta e nove confermate il giudizio d’appello nei confronti di dieci degli imputati coinvolti nell’operazione “Show down”, condotta dai carabinieri e dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro contro presunti appartenenti alla cosca Sia-Procopio-Tripodi attiva nell’area ionica del Soveratese, che in primo grado scelsero l’abbreviato. Rispetto a quella prima sentenza, emessa il 22 aprile del 2013, i giudici della Corte d’appello di Catanzaro (presidente Anna Maria Saullo, consiglieri Maria Teresa Carè e Vincenzo Galati) hanno ridotto la condanna già inflitta a Francesco Vitale, per il quale è stata esclusa l’aggravante della “mafiosità”, da 1 anno di reclusione e 300 euro di multa a 8 mesi e 200 euro.
Le altre condanne sono state confermate: a 6 anni di reclusione per Vincenzo Alcaro, 47 anni, nato a Soverato, il brigadiere dei carabinieri in servizio al reparto operativo del Comando provinciale di Catanzaro, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, secondo le ipotesi degli inquirenti, avrebbe fornito ai componenti dell’associazione mafiosa informazioni sulle operazioni di servizio che venivano svolte dai suoi colleghi nei confronti della stessa cosca Sia-Procopio-Tripodi; a 5 anni e 8 mesi per Vincenzo Bertucci; a 7 anni 6 mesi e 20 giorni per Patrick Vitale; a 4 anni e 935 euro per Panni’a Salvatore; a 4 anni e 8 mesi per Angelo Procopio; a 3 anni e 4 mesi per Bruno Procopio; a 6 anni e 8 mesi per Giuseppe Santo Procopio; a 6 mesi 20 giorni e 1000 euro per Vincenzo Ranieri; a 1 anno e 4 mesi per Vincenzo Todaro. In primo grado il gup distrettuale aveva sentenziato anche altre due condanne – 1 anno per Giuseppina Mirarchi; 8 mesi e 1735 per Pietro Danieli -, ma gli imputati non sono giunti in questa sede d’appello, e tre assoluzioni. Le indagini di “Show down” hanno avuto inizio dalla scomparsa di Giuseppe Todaro per un caso di “Lupara bianca”, avvenuta il 22 dicembre 2009.
Il blitz fu portato a termine in due diverse tranche, una scattata all’alba del 15 dicembre 2011, per l’esecuzione di un provvedimento di fermo a carico di diciotto persone, e una che risale al 10 maggio scorso, per la notifica di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di dodici persone e di obbligo di firma per altre tre. Le accuse complessivamente contestate nell’inchiesta, a vario titolo, vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, al sequestro di persona, estorsione, rapina, ricettazione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, omicidio e occultamento di cadavere.
L’inchiesta condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro e della Compagnia di Soverato, a cui ha collaborato anche il Ros, ha ricostruito i contrasti interni sorti tra gli schieramenti una volta uniti dei Sia e dei Todaro, sostenuti rispettivamente dalla cosche Vallelunga e Novella da un lato e Gallace dall’altro. Una frattura che ha portato a una vera e propria guerra di mafia con decine di omicidi commessi tra il 2009 e il 2011. (AGI)
I veleni a galla
Rifiuti sepolti con la benedizione della ‘ndrangheta
Resi pubblici alcuni documenti dei servizi segreti: traffico di veleni in Calabria già dal ‘92
del 09 Giugno 2014 06:03
Le notizie sulle discariche abusive della provincia di Reggio sono contenute nei carteggi relativi alle “navi dei veleni” e sull’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Secondo il contenuto di quei carteggi, riportato da Longo, le discariche abusive nella provincia di Reggio sono site in grotte, nella zona della Limina, Grotteria, Gambarie d’Aspromonte, Canolo, nell’area delle serre e su larga parte del versante Jonico.
“Molti passaggi di questo carteggio – evidenzia Longo – riguardano specificatamente la Piana di Gioia Tauro: secondo i servizi segreti, infatti, lo smaltimento illegale di scorie radioattive, provenienti da depositi del Nord e Italia centrale, avvenne lungo i canali scavati per la posa in opera dei tubi per il metanodotto di Serrata, all’epoca in costruzione presso il fiume Mesima”. Rivelazioni queste, che se accertate, dovrebbero mettere in stato di allarme il ministero dell’Ambiente e la Procura della Repubblica per indagini più approfondite.
Il consigliere provinciale Longo conclude ricordando che “aspettiamo a breve le analisi sull’eventuale inquinamento radioattivo delle acque potabili del comune di Cinquefrondi, sito ai piedi della Limina e scenario, come diversi altri centri della Piana di Gioia Tauro, di un aumento preoccupante di patologie e morti tumorali. Non c’e’ tempo da perdere, ne va del futuro della nostra terra”.
http://www.paralleloquarantuno.it/articoli/rifiuti-sepolti-con-la-benedizione-della-ndrangheta.html
Nelle Serre si cercano scorie radioattive
13/06/2014
Il Prefetto di Vibo Valentia, Giovanni Bruno, ha disposto l’istituzione di un gruppo di lavoro che avrà il compito di verificare la presenza di scorie radioattive sotterrate nel territorio ed in particolare nella zona delle Serre vibonesi.
Il Prefetto di Vibo Valentia, Giovanni Bruno, ha disposto l’istituzione di un gruppo di lavoro che avrà il compito di verificare la presenza di scorie radioattive sotterrate nel territorio ed in particolare nella zona delle Serre vibonesi. La decisione è stata presa al termine di una riunione svoltasi stamane in Prefettura. “Il prefetto – è scritto in una nota della Prefettura – è intenzionato ad andare a fondo sulla questione, evitando inutili allarmismi attraverso l’avvio di opportune verifiche che saranno svolte in tempi brevi insieme alla Procura ed alla Forze dell’ordine”. La vicenda è emersa dopo desecretazione delle informative del Sisde sullo smaltimento illecito dei rifiuti che, si presume, possano essere stati interrati anche nella zona montana della Provincia di Vibo oltre che nel Reggino.(ANSA).
Veleni e segreti. Declassificati alcuni atti delle commissioni parlamentari
La Spezia /Reggio Calabria – Anche il tribunale della Spezia ritiene probabile che la verità su affondamento dolosi nelle acque liguri possa essere legata anche ad altri affondamenti rimasti sospetti in Calabria – uno su tutti quello della Rigel il 27 settembre 1987 al largo di Capo Spartivento – e che questa intricata ed ancora oscura storia di misteri e veleni possa essere scritta anche sui fondali dei mari di Calabria. Ecco perché lo scorso 5 maggio è stata accolta la richiesta di rinvio avanzata dall’avvocato Valentina Antonini, per conto di Legambiente, che ha appunto chiesto al Gip tempo per visionare e studiare gli atti della commissione sullo smaltimento illecito dei rifiuti di cui la presidente della Camera Laura Boldrini aveva annunciato l’avvio dell’iter di desecretazione a marzo. Proprio qualche settimana fa, grazie all’impulso del presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi e del sottosegretario con delega ai Servizi Segreti, il reggino Marco Minniti, questo iter è giunto a compimento. L’istanza è stata accolta dal gip spezzino e la prossima udienza avrà luogo il 10 dicembre.
Legambiente si sta opponendo all’archiviazione del caso richiesta dalla procura della Spezia. Alla base di questa istanza vi sono numerose questioni legate al tema generale dell’affondamento doloso di imbarcazioni che non escludono ipotesi di disastro ambientale e smaltimento illecito di rifiuti tossici radioattivi. Fattispecie di reato su cui mai la procura della Spezia ha condotto indagini approfondite.
Forse adesso alcuni viatici proibiti potranno essere percorsi per arrivare alla verità. Dovrebbero divenire fruibili documenti dell’ultima commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti presieduta da Gaetano Pecorella, tra cui i fascicoli relativi alle audizioni, non più ripetibili, del collaboratore di giustizia Francesco Fonti deceduto nel 2012. Ancora declassificati documenti inviati dal Sismi, l’intelligence militare, a Reggio Calabria quando nei primi anni Novanta Francesco Neri condusse delle indagini. Quel filone fu archiviato a seguito della morte non naturale del capitano di corvetta Natale De Grazia, nel dicembre 1995, durante il viaggio verso La Spezia per alcuni interrogatori. Altri documenti riguardano la motonave Jolly rosso, spiaggiata ad Amantea nel dicembre 1990 e su cui indagò la procura di Paola, la stessa Rigel ed altre navi rimaste sospette.
Desecretati, e non certamente a caso, anche alcuni atti della commissione d’inchiesta Alpi-Hrovatin, presieduta da Carlo Taormina, tra cui documenti del Sisde, l’intelligence interna, datati 1994, anno della morte di Ilaria e Miran uccisi a Mogadiscio mentre conducevano in Somalia un’inchiesta sui traffici di scorie radioattive mascherati da attività di cooperazione internazionale. Alcuni fascicoli di questa commissione risulterebbero parzialmente declassificati. Dunque la strada verso la verità potrebbe non essere ancora completamente spianata.
Anche il teatro e la drammaturgia contemporanea fanno la loro parte per creare coscienza critica e stimolare la ricerca della verità. Nella stagione di prosa “RivelAzioni – Horcynus Festival 2014″ anche lo spettacolo “Patres” della compagnia lametina Scenari Visibili in collaborazione con la Residenza Teatrale Ligeia, in scena al politeama Siracusa in anteprima rispetto al debutto nella XV edizione del festival Primavera dei Teatri di Castrovillari.
Dario Natale e Gianluca Vetromilo, diretti dallo stesso Natale e dal drammaturgo, regista e attore messinese Saverio Tavano, sul filo di dialogo padre – figlio disperso nei meandri di un tempo atteso ed immaginato, raccontano una famiglia naufraga come le navi con carichi occulti inghiottite nei mari di sale e di mistero. U figlio cieco con il privilegio di immaginare un orizzonte sconfinato ed anche incontaminato mentre su quella spiaggia davanti al mar Tirreno attende il padre che un giorno non è più tornato a casa. Un dialetto particolarmente evocativo e poetico per narrare un dramma senza fine e sullo sfondo i rifiuti tossici della navi a perdere che il mare custodisce perché l’uomo non ha il coraggio della coscienza e di quelle parole che sono azioni.
Anna Foti
Domenica 08 giugno 2014
Calabria: Longo, carteggio Sismi-Sisde confermerebbe rifiuti radioattivi
29 Maggio 2014 – 19:22
(ASCA) – Reggio Calabria, 29 mag 2014 – ”Dopo oltre vent’anni di sospetti e mezze voci arriva la tragica conferma: secondo alcuni documenti dei servizi segreti italiani, appena desegretati, gia’ nel 1992 il Sismi e il Sisde erano a conoscenza di un traffico nazionale di rifiuti tossici e radioattivi, provenienti soprattutto dall’Est Europa e dall’India e smaltiti dalla ‘ndrangheta in tutto il territorio calabrese. Le discariche abusive nella Provincia di Reggio Calabria – secondo le note contenute nei carteggi sulle ‘navi dei veleni’ e sull’omicidio dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, rimasti top secret fino a oggi – sarebbero parecchie, site per la maggior parte all’interno di grotte, nella zona della Limina, di Grotteria, Gambarie, Canolo, nell’area delle Serre e su larga parte del versante jonico. Molti passaggi pero’ riguardano specificamente la Piana di Gioia Tauro: i fratelli all’epoca latitanti Cersare e Marcello Cordi’, secondo i servizi, avrebbero gestito lo smaltimento illegale di scorie radioattive provenienti da depositi del Nord e Centro Italia sotterrandoli lungo i canali scapati per la posa in opera dei tubi per il metanodotto del Comune di Serrata all’epoca in costruzione presso il fiume Mesima. Questa rivelazione ci fa rabbrividire e scuote fin dentro l’anima”. Lo afferma Giuseppe Longo, Consigliere provinciale di Reggio Calabria e Coordinatore di Sinistra in Movimento. ”Attendiamo, dunque, con grande apprensione il pronunciamento del ministero dell’ambiente che speriamo si attivi rapidamente, di concerto con la Procura della Repubblica, per svolgere una indagine approfondita – sottolinea Longo – a opera di esperti allo scopo di verificare la fondatezza di questo carteggio e, in caso di riscontri, procedere a una immediata operazione di bonifica su larga scala. Non c’e’ piu’ tempo da perdere: questa terra ha gia’ sofferto abbastanza e reclama a gran voce la tranquillita’ che le spetta. A giorni verra’ pubblicato il bando per l’individuazione dell’istituto competente a svolgere le indagini previste dal rapporto di sostenibilita’ ambientale, promosso dalla Provincia. Aspettiamo a giorni inoltre i risultati delle analisi sull’eventuale inquinamento radioattivo delle acque potabili di Cinquefrondi, comune sito ai piedi della Limina e scenario recente, come diversi altri comuni della Piana, di un aumento preoccupante di patologie tumorali. Il vaso di pandora e’ stato scoperchiato e cio’ che ha cominciato a fuoriuscirne e’ gia’ allarmante. Le istituzioni e gli enti deputati alla salvaguardia del sacro diritto della salute non hanno piu’ scusanti: non c’e’ piu’ tempo da perdere, ne va del futuro della nostra terra”. red/dsk
Lastre di eternit e scarti interrati, sequestrata area di 2.500 mq
26/06/2014
Individuata dalla Guardia finanza e dal Corpo forestale a Crotone. Socio ed amministratore della società titolare del terreno sono stati denunciati per attività di gestione di rifiuti non autorizzata e di omessa bonifica
I “baschi verdi” della Compagnia della Guardia di finanza di Crotone, insieme al Corpo forestale dello Stato, hanno sequestrato due capannoni ed un’area di 2.500 metri quadri di un’azienda agricola. Sull’area era stata realizzata una discarica abusiva ed erano presenti capannoni con copertura in eternit. Socio ed amministratore della società titolare del terreno sono stati denunciati per attività di gestione di rifiuti non autorizzata e di omessa bonifica.
L’attività della finanza che ha portato al sequestro è partita dopo una segnalazione della sezione aerea delle fiamme gialle di Lamezia Terme, che aveva individuato un sito posto nella periferia sud della città, caratterizzato dalla presenza di capannoni, in apparente stato di abbandono, con copertura in eternit che risultava in più punti non integra e, nelle adiacenze, anche vario materiale di risulta. Nel corso degli accertamenti, i finanzieri hanno appurato che anche il Corpo forestale, attivatosi autonomamente, stava già facendo degli approfondimenti. Le indagini sono così proseguite congiuntamente. Nel corso del controllo, finanzieri e agenti della forestale hanno accertato le condizioni di pericolo dovute alla copertura in eternit di due capannoni, trovando anche materiale di risulta e diversi rifiuti abbandonati all’interno degli stabili. Inoltre, le verifiche hanno permesso di individuare anche alcune buche scavate negli spazi adiacenti agli immobili, con interrati pezzi di cemento armato, calcinacci, blocchetti in cemento, oggetti di plastica, pezzi di lastre di fibrocemento e parti di capannone derivati dalla demolizione. Durante le ricerche è stata trovata pure la carcassa di un’autovettura completamente interrata ed una buca con segni evidenti di una recente combustione di materiale plastico. (ANSA)
Dall’astensione all’“altra ‘ndrangheta”. Ecco quant’è malata l’Emilia oggi
Nella regione rossa in crisi d’identità i clan non sparano, ma soffocano l’economia e cercano di inflitrarsi nelle istituzioni. E una vasta zona grigia li difende. Dal caso Brescello ai contatti con la politica. Con il sospetto che il voto locale sia stato condizionato dalle cosche
di Giovanni Tizian
Peppone e don Camillo potevano litigare su tutto, ma c’era un momento sacro per entrambi: il voto. Invece la loro Brescello ora è diventata una delle capitali dell’astensione. Ai seggi per le regionali infatti si è presentato solo il 27 per cento degli elettori, mentre nel 2010 erano stati il 60 per cento. Ma il paesone bagnato dal Po, appollaiato nel cuore della Valpadana, è un ottimo osservatorio per capire il male che si è lentamente diffuso in queste terre, corrodendo il consenso del popolo rosso fino a spegnerne l’entusiasmo o spingerlo nelle braccia della Lega di Matteo Salvini.
Il modello emiliano costruito grazie al benessere in mezzo secolo dai sindaci comunisti alla Gino Cervi d’intesa con i prelati democristiani alla Fernandel si è sgretolato. E sulle sue macerie ha messo radici l’impero della ’ndrangheta emiliana, che contribuisce ad alimentare sfiducia e sospetti verso la politica locale.
È una realtà criminale cresciuta negli affari, tanti business protetti dalla fitta nebbia che da queste parti rende ogni cosa invisibile. Gli investigatori la chiamano “l’altra ’ndrangheta” per distinguerla dalle cosche calabresi e da quelle che si sono imposte in Lombardia.
In Emilia non spara, ogni tanto appicca un rogo dal sapore di ultimatum, ma è soprattutto una holding, che lentamente soffoca l’economia e cerca di contaminare le istituzioni. E ha sede legale proprio a Brescello, con magazzini e centri operativi nelle province di Piacenza, Parma, Modena, Mantova e Verona. Un mostro con artigli affilati che ha arraffato aziende di costruzione, di trasporto, di videogiochi. Ha riciclato montagne di quattrini. E offre una gamma di servizi perfetta per questi tempi di crisi: dal prestito di denaro al recupero crediti, garantendo manodopera a basso costo e soluzioni rapide per lo smaltimento rifiuti. Dopo il terremoto del 2012 si è ritagliata una fetta rilevante della ricostruzione (vedi box a pag. 50). E tutto fa capo a Cutro, comune del Crotonese che ha assunto un peso sempre maggiore nelle dinamiche della mafia calabrese.
L’infiltrazione è silenziosa ma devastante. Qui le cosche non conquistano, seducono. Puntano alla «conquista delle menti dei cittadini emiliani», come ha scritto la procura nazionale antimafia nell’ultima relazione. La sintesi perfetta del quadro disegnato dalle inchieste penali, che proprio per questo procedono a fatica. «Trovo maggiore difficoltà a fare indagini in Emilia Romagna che in Sicilia perché è più difficile distinguere il buono dal cattivo che qui si intrecciano», ha detto due anni fa il procuratore di Bologna Roberto Alfonso. Un’estesa zona grigia dove lecito e illecito convivono pacificamente. Il minimo comune denominatore di questa metamorfosi è il denaro. Ne hanno tanto: in pochi mesi carabinieri e Dia hanno sequestrato 13 milioni. La fitta trama di relazioni serve ai clan per incassare di più e per consolidare le fondamenta dell’impero. Le complicità con gli imprenditori locali permettono ai padrini di entrare nel mercato e ai loro nuovi soci di non affogare nei debiti. Ma come accade al Sud, il tavolo della spartizione richiede un terzo interlocutore: gli appoggi politici per accaparrarsi appalti e subappalti.
La fede di Graziano Delrio è granitica. Il braccio destro del presidente del Consiglio è un fervente cattolico. Ma c’è una festa religiosa che gli sta creando più di un imbarazzo politico: la processione del Santissimo crocifisso a Cutro, provincia di Crotone. Un rito avvenuto nel pieno della campagna elettorale del 2009 quando l’allora sindaco di Reggio Emilia correva per un nuovo mandato. In città e in tutto il circondario la comunità d’origine cutrese è talmente numerosa da pesare anche alle urne e quella spedizione in Calabria poteva avere un impatto nel voto. Delrio, all’epoca numero due dell’Anci, non è stato il solo a impegnarsi in questa trasferta: tutti gli altri candidati della zona hanno deciso di presentarsi al cospetto del Santissimo.
Ma in certe terre i simboli contano più delle parole: la processione dei primi cittadini emiliani è stata interpretata come un segno tangibile di riconoscenza da tutta la comunità calabrese. Anche da quelle persone che in Emilia alimentano i peggiori traffici. La questione è finita all’attenzione della procura antimafia di Bologna, che ha convocato come testimoni gli illustri partecipanti. Anche Delrio è stato sentito come “persona informata dei fatti”.
La sua deposizione è ancora segreta, ma le impressioni degli investigatori che hanno partecipato al colloquio confermano la grande difficoltà di fare luce nella nebbia padana. Gli inquirenti sono rimasti colpiti dalla bassa percezione mostrata dall’attuale sottosegretario di Palazzo Chigi, apparso ignaro delle dinamiche che la ’ndrangheta del Terzo Millennio ha messo in atto nel “cuore rosso” d’Italia. Per Delrio quel pellegrinaggio è stato solo un omaggio agli emigranti onesti che con il loro duro lavoro hanno partecipato alla costruzione del modello emiliano.
Opposta è la visione del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che poche settimane fa, proprio a Reggio Emilia, ha dichiarato pubblicamente: «Se un candidato vuole rivolgersi ai calabresi, può parlare a quelli che vivono in Emilia. Se vai in Calabria vuol dire sapere che è là che si decide l’elezione, vuol dire che è da lì che deve venire il via libera al tuo sostegno elettorale». Non tutti i vertici del Pd hanno partecipato alla trasferta. Sonia Masini, che in quel 2009 era candidata alla Provincia, ha detto no: «Perché avrei dovuto? Chi mi vuole votare può farlo senza bisogno che io vada a Cutro. Ero candidata in Emilia, mica in Calabria» ha spiegato a “l’Espresso”. Anche la Masini è stata sentita in procura. Dopo dieci anni alla guida dell’ente locale, la sua carriera politica per il momento si è interrotta: il partito ha preferito non puntare su di lei alle regionali, scegliendo – questa la versione ufficiale – volti nuovi e più giovani, da protocollo renziano.
I magistrati hanno voluto ascoltare altre figure chiave dell’entourage dell’allora sindaco Delrio. Come Maria Sergio, dirigente del settore urbanistica del Comune di Reggio e ora passata a quello di Modena, originaria di Cutro e sposata con l’attuale sindaco pd della città del tricolore, Luca Vecchi. Un settore strategico quello dell’Urbanistica. E proprio la commissione consiliare Territorio e ambiente per molto tempo è stata presieduta da un altro fedelissimo di Delrio: Salvatore Scarpino. Un punto di riferimento per il sottosegretario nella comunità cutrese, l’unico che ha ottenuto dal partito una deroga per ricandidarsi al terzo mandato in Consiglio comunale. Lui, dicono i ben informati, è il regista della trasferta calabrese. Scarpino oltre a essere un esperto di urbanistica è anche dirigente all’Agenzia delle Entrate di Bologna.
’NDRANGHETA A CHI?
La confusione tra legalità e ombre ha il suo epicentro a Brescello. L’erede di Peppone è Marcello Coffrini, diventato sindaco con i voti del Partito democratico. D’altronde ha avuto un grande maestro: suo padre infatti ha guidato la giunta per quasi vent’anni. Per il giovane Coffrini il boss calabrese Francesco Grande Aracri è «un personaggio tranquillo, composto, educato, che ha sempre vissuto a basso livello», come ha risposto al collettivo di giornalisti Cortocircuito autori di una video inchiesta rilanciata dalla Gazzetta di Reggio. Un profilo da libro “Cuore” insomma. Che però dà l’idea della grande strategia di mimetizzazione della ’ndrina, dominata secondo gli inquirenti proprio da Francesco Grande Aracri e dal fratello, il potente padrino Nicolino, detto “Manuzza”. La famiglia d’onore è tra i trenta clan più ricchi della ’ndrangheta. Il cuore a Cutro, il polmone economico a Brescello, da dove irradia la sua influenza fino a Verona e Mantova, restando però ben piantata lungo la via Emilia, da Modena a Piacenza.
Una presenza che non fa paura e non crea neppure imbarazzo: il sindaco Coffrini ha reagito con insofferenza alle polemiche nate dalle sue dichiarazioni su Grande Aracri. Qui il clan fa girare i soldi. E lo dimostrano le aziende sospettate dagli investigatori di rapporti con la cosca: due fanno parte della galassia di Confindustria Reggio Emilia. Forse per questo il sindaco di Brescello non è solo nel suo appoggio alla famiglia di Cutro. Anche una parte della cittadinanza difende Grande Aracri e le sue aziende che danno lavoro. C’è persino chi rispolvera motivazioni che neppure al Sud vengono più accettate, sostenendo che «in fondo la mafia è nata per togliere ai ricchi e dare ai poveri». Pure il parroco don Evandro Gherardi si è schierato con Coffrini: durante la processione cittadina ha affermato orgoglioso che Brescello non è mafiosa. Don e sindaco finalmente d’accordo. Ignorando le parole messe a verbale già nel 2007 dal pentito Angelo Cortese: «Brescello rappresenta Cutro, qui vive tutta la famiglia Grande Aracri, e quindi simbolicamente è importante; non che Reggio Emilia sia da meno, ma simbolicamente è Brescello il punto di riferimento».
«Quanto è accaduto in quel paese è sintomatico della pervasività della ’ndrangheta emiliana», racconta a “l’Espresso” un investigatore, che aggiunge: «ma i politici che la pensano in quel modo, o peggio che hanno avuto rapporti e si relazionano con il volto pulito della ’ndrangheta emiliana sono numerosi». La procura nazionale antimafia in un’audizione alla Commissione parlamentare ha segnalato un elemento inquietante: «Nel territorio emiliano i contatti con la politica esistono, sono esistiti nel 2007, quando ci furono le elezioni amministrative, e non escludo che ci siano stati anche con riferimento alle elezioni amministrative del 2012». Da quanto risulta a “l’Espresso” la provincia interessata dal sospetto di voto di scambio sarebbe quella di Parma. In particolare nella città ducale i movimenti opachi avrebbero riguardato un gruppo di emissari del clan Grande Aracri e alcuni esponenti del Pdl che si sarebbero mossi per far eleggere nel 2007 il berlusconiano Pietro Vignali, diventato sindaco e poi travolto da un’inchiesta per corruzione. Una notizia sepolta in una vecchia indagine della procura antimafia di Catanzaro, che non ha più avuto sviluppi.
UNA CENA CONTRO IL PREFETTO
Cristallizzata invece in alcuni rapporti dei carabinieri inviati alla prefettura di Reggio Emilia è la cena tra un cartello di imprenditori legato al clan Grande Aracri e tre politici del Pdl. L’incontro avvenuto nel 2012 era stato organizzato nel ristorante Antichi Sapori, di proprietà di Pasquale Brescia, molto in confidenza con questo entourage di uomini d’affari. Alla cena erano presenti Nicolino Sarcone, «referente della cosca a Reggio Emilia e comuni limitrofi» si legge nei documenti inviati al Prefetto, il fratello Gianluigi e Alfonso Diletto, nipote del fratello del boss “Manuzza”. Tra i commensali politici invece viene notato Giuseppe Pagliani: avvocato ed esponente di spicco di Forza Italia in città. Tra un piatto tipico e un bicchiere di vino la discussione è andata a finire sulla frenetica attività della prefettura: le interdittive che stavano lasciando fuori dagli appalti numerose aziende perché indicate come vicine ai Grande Aracri.
Una delle imprese colpite è di Giuseppe Iaquinta. E quella sera era presente pure lui. Il costruttore che ha creato un piccolo impero tra Reggio e Mantova è il padre di Vincenzo Iaquinta, l’attaccante della Juve dei record e della nazionale campione del mondo. La passione per il calcio è talmente radicata in casa che due mesi fa sembrava concretizzarsi la scalata di Iaquinta senior al Mantova calcio. Poi non se ne fece più nulla. Nel frattempo papà Iaquinta si è affidato all’avvocato Carlo Taormina: ha denunciato l’ex prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro per abuso d’ufficio. E ha chiesto alla Commissione parlamentare antimafia di essere sentito per la «opportuna valutazione anche politica del prefetto di Reggio Emilia».
I nomi di Pagliani e Gianluigi Sarcone, invece, ritornano in un’altra vicenda. Sono stati ospiti nel talk show di un’emittente locale per parlare ancora una volta degli effetti dei provvedimenti della prefettura. A condurre il programma era il giornalista Marco Gibertini. Era l’11 ottobre 2012. Oggi il conduttore è agli arresti domiciliari per la maxi operazione della procura di Reggio Emilia su un giro di evasione e riciclaggio. E agli inquirenti non sfugge una certa familiarità del giornalista con un imprenditore considerato espressione del clan emiliano, coinvolto nella stessa indagine. Mentre Gianluigi Sarcone si sta difendendo in tribunale perché la Direzione investigativa di Firenze ha messo i sigilli alle sue aziende. Invece il rapporto dei carabinieri su Pagliani non ha intaccato la sua carriere politica: la Lega Nord lo ha sempre difeso nel consiglio comunale e nelle consultazioni regionali di domenica l’esponente berlusconiano ha sfiorato l’elezione, ottenendo un record personale di 2.634 preferenze nella lista che sosteneva il leghista Alan Fabbri, l’araldo di Salvini in terra d’Emilia.
http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/12/02/news/dall-astensione-alla-ndrangheta-quant-e-malata-l-emilia-1.190026
Area industriale Syndial Crotone, Voce: la bonifica e’ una farsa
“Di circa 82 ettari solo il 28% e’ contaminato. Risarcimento da destinare agli ammalati oncologici”
L’Ing. Vincenzo Voce, dell’associazione “Classe Differente” è intervenuto all’inizio del 2014 all’audizione congiunta della III e IV Commissione della Regione Calabria per spiegare evidenziare i gravissimi problemi ambientali che affliggono la città di Crotone. “Con la chiusura delle fabbriche, avvenuta ormai nel 1999, la città attende da molti anni una bonifica, che sembra non finire mai – afferma Voce. Le bonifiche attese in realtà sono più di una e costituiscono un vero e proprio paradosso. Mi riferisco ovviamente alla bonifica dell’area industriale che sta facendo Syndial e a quella dell’area archeologica antistante. L’area d’interesse archeologico, circa 82 Ha, sarà bonificata integralmente con finanziamenti pubblici, nonostante sia contaminata solo per il 28%; invece, l’area industriale sarà oggetto di una “finta” bonifica dei suoli. Si usano due pesi e due misure, quando le bonifiche deve farle lo Stato o il privato. Sull’area industriale delle ex fabbriche e nelle discariche fronte mare, dove ci sono i veri veleni, in sostanza si farà poco o nulla. Infatti, la multinazionale lascerà tutti i veleni sul posto, perché gli è stato approvato un progetto di bonifica operativo, che in realtà è una messa in sicurezza permanente, come di solito si fa per una discarica, senza tener conto, invece, che si tratta di un’area che è parte integrante della città”.
Le sostanze presenti nel sito industriale
“Nei 48 ettari del sito di Pertusola Sud, in base ai dati delle caratterizzazioni ufficiali, risultano almeno: Cadmio 412.887 Kg; Arsenico 254.500 kg; Piombo 4.181.411 kg. Nessun sito in Italia è contaminato in tal modo da metalli. Vorrei ricordare che: il Cadmio è cancerogeno (Classificazione IARC-IA la massima); l’Arsenico è cancerogeno (Classificazione IARC-IIA ) e il Piombo una sostanza tossica per il ciclo riproduttivo. La quantità di Cadmio presente sul sito di Pertusola potrebbe causare il cancro a tutti i cittadini europei. I rifiuti che ho stimato per il sito di Pertusola e la sua discarica a mare sono almeno 528.000 tonnellate di “Rifiuti Pericolosi” e 410.000 tonnellate di “Rifiuti non Pericolosi”. Altre 265.000 Tonnellate di rifiuti non pericolosi potrebbero essere comunque messi in sicurezza permanente”.
Cosa farà Syndial per eliminare questi veleni?
“Su 5 ettari è prevista la fitorimediazione – continua l’ingegnere Voce – una tecnica mediante la quale si asportano metalli con alcune piante bioaccumulatrici, che i componenti della Commissione Ambiente hanno visto quando sono stati a Crotone. Quelle piante, in un articolo del settimanale “L’Espresso”, sono state definite “eucalipti magici”, per la loro capacità estrattiva di metalli e in particolar modo dello zinco. Ma il sito è fortemente contaminato da metalli pesanti ben più pericolosi, che difficilmente sono fitorimediati. In base a un mio studio, utilizzando i dati sperimentali che ha fornito Syndial in occasione della loro audizione, ho stimato che occorreranno non meno di 4.000 anni (SI33 = 580 mg/kg di Cd), per eliminare il cadmio e il piombo presenti, contro i 10 anni previsti dal progetto. Su altri 6,5 ettari sui quali è prevista la tecnica della rimediazione elettrocinetica (EKRT), che utilizza un sistema di elettrodi per mobilitare i metalli, ma l’arsenico, abbondantemente presente, non sarà minimamente rimosso; infatti, mentre tutti i metalli, come il piombo, il cadmio, lo zinco o il rame, possono essere rimossi con questa tecnica in ambiente acido, per l’arsenico occorrerebbe un ambiente alcalino”.
E sul resto delle aree (36,5 Ha) cosa si fa?
“Niente! Quando si parla di bonifica dei suoli di cosa parliamo? Sul 76% del sito non si farà nulla, anzi le aree le hanno già messe in sicurezza, per modo di dire, almeno dieci anni prima che fosse approvato il progetto di Syndial, cioè quando hanno interrato in 13,3 ha del sito di Pertusola parte del Cic. La vera beffa è che sul sito di Pertusola, ci sono rifiuti interrati, come ha scritto il consulente del Tribunale (pag. 345 nota 3): “In molti casi il materiale è stato rinvenuto a contatto con veri e propri rifiuti, talvolta anche materiali riconducibili alla scoria Cubilot tal quale o alle ferriti di zinco. Non rientra nell’ambito del presente accertamento la verifica della legittimità di tali opere di copertura, realizzate in gran parte in vigenza del D.lgs. 22/97, in difetto della previa rimozione dei rifiuti interrati “. Quindi i rifiuti interrati andrebbero rimossi, come hanno fatto a Cassano Ionio e a Cerchiara Calabro e il progetto di bonifica in corso dovrebbe essere rivisto. Invece, con la messa in sicurezza permanente approvata, nessuno andrà più a toccarli. Un bel regalo che lasceranno alle nostre future generazioni. Le pericolosissime ferriti di zinco che mancano all’appello sono tante e sono quelle che occorre ricercare. L’avevo scritto qualche anno fa e nei mesi scorsi si è saputo del ritrovamento a Cassano di altre scorie riconducibili alle ferriti. Pertusola Sud le ha accumulate dal 1928 sino al 1971, cioè per oltre 40 anni, prima dell’avviamento del forno cubilot, dove in seguito sono state trattate. Parliamo di una quantità enorme”.
I ‘veleni’ sono rimasti tutti nell’area della Pertusola?
“Pensate forse che in quegli anni, quando non esisteva nessuna sensibilità ambientale, Pertusola avesse accumulato tutte le scorie in fabbrica?Penso proprio di no. Dalla caratterizzazione della discarica per rifiuti solidi urbani di Farina, si evince che anche lì hanno portato le pericolose scorie di Pertusola. E chissà in quali altri posti. Nelle discariche fronte mare, ovviamente, ci sono sondaggi che fanno riferimento alle ferriti di zinco, come evidenziato nell’ambito di un’inchiesta ancora in corso, che riguarda la realizzazione della strada consortile. Cosa si aspetta a rimuoverle? Per quanto riguarda il controllo sulla popolazione o sulla qualità dell’aria, nei decenni di attività delle fabbriche, sono state fatte sporadiche campagne di monitoraggio atmosferico, ma forse allora era meglio non mettere in discussione il benessere e la ricchezza che le fabbriche davano, nonostante sia avvenuta una vera e propria strage d’innocenti. Ho un certificato di un operaio che ha lavorato 20 anni nel reparto cadmio, morto di tumore al polmone; aveva un valore di cadmio urinario di 10,4 μg/g-creatinina, mentre il valore limite accertato di danno biologico era di 7 μg/g-creatinina (oggi sceso a 2). Si può dire che in quel caso si è trattato di un vero e proprio omicidio, perché l’operaio doveva essere spostato di reparto molto tempo prima. E come lui, mi risulta che tutti i lavoratori di quel reparto siano morti giovani”.
Il caso del 2009: scorie sotto le scuole e la Procura
“Forse la vera attività di controllo è stata fatta nel 2009, quando scoppia il caso delle scorie sotto le scuole e la Procura della Repubblica affida al Prof. Andò un biomonitoraggio su un campione della popolazione scolastica crotonese, prendendo come riferimento alcune scuole senza scorie. Le conclusioni del Prof. Andò, mostravano che i bambini che frequentavano le scuole con le scorie, presentavano valori sierologici di metalli pesanti superiori agli altri studenti e il nichel era in assoluto il metallo con maggior concentrazione. Quella vicenda clamorosa, si è conclusa con un nulla di fatto, perché i risultati ottenuti dal Prof. Andò erano assolutamente nella norma, se confrontati con i normali valori di riferimento, come sostenuto invece dall’Istituto Superiore della Sanità. I valori sierologici erano effettivamente più alti nei bambini che frequentavano le scuole con le scorie, ma i valori urinari erano più alti nel campione della popolazione scolastica che frequentava le scuole senza scorie. Il nichel poi non è nemmeno presente nella scoria interrata e nemmeno nelle pericolosissime ferriti. Il nichel insieme al vanadio, un altro metallo cancerogeno (classificazione IARC – IIB), sono presenti in modo naturale nei suoli della città, ed è soprattutto su quest’ultimo che occorrerà vigilare. Il vanadio in molte zone della città è presente in concentrazioni che superano i 90 mg/kg, cioè superiori ai limiti dei suoli residenziali. Spero che sia chiaro che finché tutti i veleni non saranno rimossi, ci sarà sempre una diretta correlazione con le patologie tumorali, sia essa dimostrabile o meno”.
Risarcimento Syndial per gli ammalati oncologici
“Inoltre vorrei fare una proposta per chi gestirà i 56,2 milioni pagati da Syndial, per i danni ambientali provocati sul territorio crotonese: cioè destinare una parte dei fondi alle famiglie meno abbienti con ammalati oncologici. Sarà un modo per riconoscere concretamente che nelle aree SIN ci si ammala di tumore in percentuale maggiore rispetto ad altri posti”.
http://www.ilcirotano.it/2014/02/26/area-industriale-syndial-crotone-voce-la-bonifica-e-una-farsa/